CASA GOBETTI A TORINO

CASA GOBETTI A TORINO

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CASA GOBETTI A TORINO

© Fotografia di Bruna Biamino per MuseoTorino – Questa immagine è protetta da copyright

Torino, 1924. Piero Gobetti e Ada Prospero varcarono dopo il primo anno di matrimonio la loro casa al numero 6 di via Fabro. Sposati l’11 gennaio 1923, lui laureato in Giurisprudenza, lavorava come giornalista, lei studiava Lettere e Filosofia, e scriveva molto. Ben presto la casa si riempì di libri, fra cui gli amati Einaudi e Salvemini, di parole illuminate, di arti e di lingue straniere. In comune avevano speranze e ideali politici di ispirazione liberale e democratica, maturati negli studi liceali e nelle discussioni appassionate, approdati nelle pagine della prima rivista gobettiana, «Energie nove». Giovani, antitetici alle gerarchie conservatrici e all’immobilismo sociale, vedevano nelle occupazioni delle fabbriche l’inizio della rivoluzione democratica, nel rigore etico e nella responsabilità dell’individuo i semi del rinnovamento sociale auspicato. Entrambi furono fin da subito in aperta e dichiarata opposizione al movimento fascista. I numerosi articoli dove Piero Gobetti tesseva corpose analisi politiche e sociologiche, con una critica cruda e puntuale al fascismo e alla figura di Mussolini, valsero all’editore de «La Rivoluzione liberale» alcuni arresti, la diffida del prefetto torinese, e nel novembre 1925 la chiusura del periodico. 

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L’ultima di ripetute aggressioni squadriste, la più violenta, aggravò la salute di Piero in modo irreversibile. Lasciò la casa torinese, lasciò Ada e Paolo, ancora in grembo, e andò a Parigi, immaginando di proseguire il suo lavoro di scrittore e giornalista libero. Quell’inverno ebbe una bronchite che aggravò la salute già precaria in modo irreversibile. Morì nella notte tra il 25 e il 26 febbraio 1926, nemmeno venticinquenne.
Negli anni di dolore, ma anche di impegno politico, di insegnamento, di scrittura e traduzioni, e dal 1937 insieme al marito Ettore Marchesini, Ada aprì l’appartamento di via Fabro agli amici e alle amiche, ai compagni e alle compagne di idee e lotta politica. Erano antifascisti, vecchi e nuovi militanti del movimento di Giustizia e Libertà, dal 1942, sotto il vessillo del Partito d’Azione. Nei mesi a seguire il luglio 1943, dopo la fine del governo mussoliniano, Ada accolse amici militanti nel movimento di Giustizia e Libertà usciti dalle carceri o tornati dal confino, Ernesto Rossi, Leone Ginzburg, Franco Venturi, Vittorio Foa. Dopo l’armistizio dell’8 settembre, con il vuoto di potere e poi l’occupazione tedesca, iniziarono gli incontri, le riunioni politiche del Partito d’Azione, il coordinamento delle neonate bande partigiane. Tra i primi arrivarono in Casa Gobetti Duccio Galimberti per i partigiani del Cuneese, Silvia Pons dalle guerriglie valdesi, futura staffetta della Val Pellice, poi Foa e Paolo Braccini a organizzare le brigate di Giustizia e Libertà piemontesi, e Ferruccio Parri, scelto come comandante delle forze GL Alta Italia.
Chi nei venti mesi di Resistenza avrebbe varcato la soglia di casa Gobetti sapeva di trovare in Ada una saggia mediatrice che tra le diverse anime politiche avrebbe trovato il terreno del compromesso necessario all’obiettivo comune, dote di cui beneficiarono in molte e molti, dai Gruppi di Difesa della Donna di Torino al Partito d’Azione fino al Comitato di Liberazione Nazionale piemontese. Intanto le azioni di rastrellamento perpetrate dai tedeschi a Torino nel mese di gennaio del 1944 non risparmiarono il quartiere di via Fabro. Fu per Ettore, Ada e il giovane Paolo, già tra le fila partigiane, un anno di frequenti, lunghi, o repentini spostamenti tra e verso le montagne, spesso in Val Susa, nella casa di Meana e a Beaulard (Oulx), in capanne irraggiungibili, con qualche tappa torinese. Eppure Casa Gobetti rimase sempre a disposizione, protetta da Espedita Martinoli, portinaia del palazzo, indispensabile presenza, ormai esperta sentinella. Fu nascondiglio e ristoro, come per l’amica Lisetta, Lisa Giua Foa, scampata da Villa Triste e dalla Banda Koch, rivestita di nuova identità, il lasciapassare per partorire all’ospedale di Torino. Luogo dove ritrovarsi insieme dopo la morte di un compagno – i Galimberti, i Jervis, gli Artom – e poi ripartire, riorganizzare, sostituire in fretta le posizioni di comando, momenti in cui Ada non smetteva di scrivere relazioni, intervenire nelle riunioni militari, organizzare gli spostamenti dei partigiani, i rifornimenti di beni e armi in montagna. E intanto sopportare le lunghe assenze del figlio Paolo.
I periodi di assenza da Torino e da via Fabro terminarono nei primi mesi del 1945, con i partigiani pronti all’insurrezione e gli occupanti tedeschi, vicini alla sconfitta, ancora più feroci. Le ultime febbrili riunioni erano rivolte alla preparazione dei Gruppi di Difesa Patriottica e squadre d’azione cittadina, alla costituzione di Comitati di Liberazione nelle fabbriche, nelle aziende, in tutti i rioni torinesi. Prima della fine, prima dell’arrivo degli alleati, si stava immaginando e operando, dentro e fuori le mura della casa di Ada Prospero e Piero Gobetti, una ricostruzione democratica, cercando il sostegno più diffuso, ognuno responsabile per l’altro.

Silvia Maresca

Localizzazione

Località: Torino
Indirizzo: via Antonio Fabro 6
Comune: Torino
Provincia: Torino (TO)
Regione: Piemonte
Coordinate geografiche: Latitudine 45.07342 – Longitudine 7.67473

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FONTI

Bibliografia
Ada Gobetti, Diario partigiano, Torino, Einaudi, 1996

Sitografia
Biografia: Piero Gobetti (Torino 19 giugno 1901 – Parigi 16 febbraio 1926) pubblicata sul sito  www.centrogobetti.it consultato il 22/8/2023

Biografia: Ada Prospero Marchesini Gobetti (Torino 23 luglio 1902 – Torino, 14 marzo 1968) pubblicata sul sito www.centrogobetti.it consultato il 22/8/2023

Casa Gobetti via Fabro 6 – Torino, scheda monografica pubblicata in www.museodiffusotorino.it consultato il 22/8/2023

 

 

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ALTRE INFORMAZIONI

Data evento: 1924-1945

Cognome Nome: Gobetti Piero, Prospero Ada

Formazioni d’appartenenza: Piero Gobetti fu ispiratore del Movimento di Giustizia e Libertà; Ada Prospero aderì al Partito d’Azione e collaborò con le brigate partigiane Giustizia e Libertà

Data opera: non determinabile

Autore: non conosciuto

Note: La struttura ospita dal 1961 l’istituto culturale Centro studi Piero Gobetti, aperto al pubblico negli orari previsti (biblioteca, archivio storico, eventi); affissa all’esterno del palazzo la targa in memoria di Piero Gobetti: IN QUESTA CASA VISSE / PIERO GOBETTI / GLI ULTIMI ANNI DELLA SUA BREVE VITA / E DA ESSA PARTI’ / IL 3 FEBBRAIO 1926 / VERSO L’ESILIO E LA MORTE / MA IN PATRIA AVEVA LASCIATO / UN ESEMPIO INESORABILE / D’INTEGRA LIBERTA’ / PER L’INDOMANI E PER SEMPRE

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MURALE DEDICATO AL PARTIGIANO EMANUELE ARTOM A TORINO

MURALE DEDICATO AL PARTIGIANO EMANUELE ARTOM A TORINO

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MURALE DEDICATO AL PARTIGIANO EMANUELE ARTOM A TORINO

© Paola Boccalatte per museoTorino – Questa immagine è protetta da copyright

All’angolo del muro perimetrale della Biblioteca civica Cesare Pavese di Torino dal 2016 è dipinto il volto del partigiano Emanuele Artom, sospeso in un fondo bianco tra grosse catene appena spezzate. “Aosta, 23 giugno 1915” e “Torino, 7 aprile 1944”, da un lato, a sancire inizio e fine, un po’ più in là il suo sguardo in vita: “Il fascismo non è una tegola cadutaci per caso sulla testa… se non ci facciamo una coscienza politica, non sapremo governarci, e un popolo che non sa governarsi cade necessariamente sotto il dominio straniero o sotto la dittatura di uno dei suoi”. Questo il pensiero dell’uomo, del partigiano ebreo, riportato alla pagina del 26 gennaio 1944 dei diari dove, dal gennaio 1940, Emanuele mantenne vive le sue passioni letterarie, filosofiche e religiose, e in cui riversò il vissuto di guerra e Resistenza. La frase riportata nel murale è l’estratto da un dialogo tra Artom e un giovane medico torinese che voleva dare il proprio contributo alle formazioni partigiane di Giustizia e Libertà (GL) in Val Pellice, dichiarandosi però estraneo a qualsiasi opinione politica. Trasmettere ai volontari partigiani l’importanza di una coscienza etica, civile e morale era il cuore del lavoro di Emanuele Artom all’interno delle bande GL, approdo di un lungo percorso

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segnato dall’ amore per l’insegnamento e da una profonda ricerca spirituale. Fin dagli anni ‘20 casa Artom, in via Sacchi 58, fu uno dei più importanti centri culturali ebraici di Torino, luogo di dibattito e discussione politica, un ambiente famigliare in cui Emanuele imparò molto, ma dove prevalevano ancora un rigido conservatorismo e un pregiudiziale antisocialismo. Gli ideali e la pratica antifascista, la critica verso il sistema politico complice o arroccato nei propri privilegi, maturarono al Liceo D’Azeglio. Allievo del professore di lettere antifascista Augusto Monti, Emanuele entrò in contatto con il pensiero di Gaetano Salvemini e Benedetto Croce, divenne presto collaboratore di riviste come l’Unità, la Voce e la Rivoluzione liberale fondata da Piero Gobetti. Laureato in storia antica nel 1936, due anni dopo Leone Ginzburg gli avrebbe sottoscritto per Einaudi la prima lettera d’incarico per la traduzione di testi classici. Le leggi razziali costrinsero Emanuele a firmare le sue opere sotto pseudonimo, come dovette rinunciare all’insegnamento nelle scuole del Regno. Ciò in cui Emanuele credeva e che trasmise agli studenti della scuola ebraica torinese era l’ebraismo discusso dai testi biblici, interrogati e interpretati nel loro messaggio originale, in un dialogo serrato tra storia antica e contemporanea, alleggerito dalle aggiunte secolari della tradizione ortodossa. Con tale approccio critico si sarebbe potuto compiere secondo Artom un rinnovamento intimo e culturale.
Sradicati dal tessuto sociale e dalla sfera pubblica, divenute entità escludenti e ostili, i giovani ebrei come Artom non poterono altro che ripensare la propria vita e trovare in poco tempo una posizione. L’atteggiamento di rottura delle nuove generazioni fu per certi versi trasversale, accadde in ambiente ebraico come nelle comunità valdesi. Ragazze e ragazzi di differenti tradizioni culturali si incontrarono dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943 a Torino e nelle vicine valli – Val Pellice, Val Germanasca, Val Chisone – tra le fila del Partito d’Azione e delle brigate di Giustizia e Libertà, accomunati dalla lotta al nazifascismo e dalla volontà di un cambiamento radicale. Emanuele Artom fu Commissario politico del PdA già nell’ottobre del 1943, insieme a Jacopo Lombardini, predicatore e insegnante nel convitto valdese di Torre Pellice. Testimoniò nelle pagine del diario le difficoltà, le ristrettezze cui fu sottoposto, non ultimi i duri confronti con altri partigiani, avuti specialmente nei mesi passati a Barge, in Valle di Luserna, come commissario azionista tra i partigiani delle bande garibaldine. Ma i momenti più duri arrivarono in seguito ai primi rastrellamenti tedeschi compiuti in Val Pellice nel gennaio 1944. Quando a marzo Emanuele seguì le bande “Italia Libera” guidate da Roberto Malan in Val Germanasca, il diario non parla più. Le SS italiane, di stanza agli Airali di Luserna San Giovanni, insieme alle forze tedesche, artiglierie e mezzi corazzati, occuparono la Val Pellice, alcuni reparti si staccarono e seguirono le vie di montagna per spezzare le bande partigiane. Nel tentativo di raggiungere il passo di Col Giuliano Artom, sfinito dalla fuga e notti insonni, fu catturato, con lui l’amico “Geo”, Ruggero Levi. Portato a Bobbio Pellice, fu riconosciuto da una spia fascista: ebreo e commissario politico. Venne interrogato, subì torture crudeli per giorni, fino al 30 marzo, quando rilasciò informazioni, ormai datate, sulle bande partigiane. Trasferito il giorno successivo alle Carceri Nuove di Torino, a lungo seviziato, morì il 7 aprile 1944.

Silvia Maresca

Localizzazione

Località: Torino
Indirizzo: via Candiolo, angolo via Artom
Comune: Torino
Provincia: Torino (TO)
Regione: Piemonte
Coordinate geografiche: Latitudine 45.015774  Longitudine 7.648634

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Tag:

FONTI

Bibliografia
E. Artom, Diari di un partigiano ebreo, gennaio 1940 – febbraio 1944, a cura di G. Schwarz, Torino, Bollati Boringhieri, 2022

D. Gay Rochat, La Resistenza nelle Valli Valdesi, 1943-1944, Torino, Claudiana, 2006

Sitografia
Murale dedicato a Emanuele Artom, immagine e scheda dell’opera pubblicate sul sito www.museotorino.it consultato il 25/8/2023

Il volto di Emanuele Artom Inaugurazione del murale nella via a lui intitolata, immagini e articolo pubblicati in www.museoarteurbana.it consultato il 25/8/2023

Scheda tratta dai testi della mostra Emanuele Artom 1915-1944 realizzata dalle Biblioteche civiche torinesi in collaborazione con la Biblioteca “E. Artom” della Comunità Ebraica di Torino, pubblicata sul portale www.museotorino.it consultato il 25/8/2023

 

 

 

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ALTRE INFORMAZIONI

Data evento: 8 agosto 1944

Cognome Nome: Artom Emanuele

Formazioni d’appartenenza: Partito d’Azione, brigate partigiane di Giustizia e Libertà

Data opera: 2016

Autori: Margherita Bobini e Andrea Gritti

Note: l’opera è accessibile. E’ stata restaurata nel 2020

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TARGA IN MEMORIA DI SANDRO PERTINI A FIRENZE

TARGA IN MEMORIA DI SANDRO PERTINI A FIRENZE

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TARGA IN MEMORIA DI SANDRO PERTINI A FIRENZE

© Redazione – Questa immagine è protetta da copyright

Una targa di marmo bianco posta accanto al portone di via Ghibellina 109 ricorda il passaggio di Sandro Pertini a Firenze nei giorni che precedettero la Liberazione della città. “Clandestino, condannato a morte, / nell’agosto del 1944 / negli ultimi giorni / dell’occupazione nazifascista / Sandro Pertini / futuro presidente della Repubblica / qui dimorò, fraternamente accolto / dalla famiglia Bertoletti, / partecipando / alla liberazione della città / fino al giorno in cui udì / il suono della Montanina / del Bargello / Il Comune di Firenze nell’anno 2009”. La presenza del partigiano Sandro Pertini nel capoluogo toscano fu la conclusione fortuita, del tutto imprevista, di una serie concatenata di eventi che videro un uomo in clandestinità dover attraversare il paese occupato a nord dai nazifascisti, da Milano alla Capitale. Portava con sé i segni della prigionia, dell’esilio e del confino, il conto presentato dalla scelta antifascista e poi della Resistenza. Vent’anni prima degli accadimenti del ‘44 Pertini si trovava proprio a Firenze, studente all’Istituto Cesare Alfieri dove seguiva un corso di specializzazione in Scienze Politiche. Ventottenne, uno studio d’avvocato a Savona, Sandro Pertini militava già nel Partito Socialista, cui si iscrisse subito dopo la fine della Grande Guerra, entrando nel consiglio comunale della sua città natale, Stella, nella provincia savonese. A Firenze visse gli ambienti socialisti e democratici che iniziavano l’opposizione al regime, quelli di Gaetano Salvemini, Carlo Rosselli, Ernesto Rossi. L’attivismo di Pertini, come di altri con lui, si accentuò dopo il ritrovamento del corpo del deputato socialista Giacomo Matteotti, ucciso per mano fascista il 10 giugno 1924.

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Il 9 agosto infatti entrò nel movimento antifascista “Italia libera”, ispiratore di quegli ideali che Rosselli avrebbe portato nel Movimento di Giustizia e Libertà. La sua lotta civile, per mezzo di atti politici e dichiarazioni pubbliche, gli procurò diversi processi e aggressioni squadriste. Le leggi speciali “fascistissime” avevano definitivamente reso impraticabile qualsiasi opposizione al regime, e dopo l’ennesima violenza, con il peso di una condanna al confino, si rifugiò, nell’autunno del 1926, nell’abitazione milanese di Carlo Rosselli. Fu lì che, insieme a Rosselli e Ferruccio Parri, Pertini organizzò la fuga in Francia del dirigente socialista Filippo Turati. Lo accompagnò a Parigi, dove iniziò per Pertini un esilio volontario che lo avrebbe portato a Nizza. Trascorsero tre anni lontano dalla lotta clandestina quando Sandro Pertini decise di tornare in Italia. Ma una volta a Pisa, il 14 aprile 1929, venne subito riconosciuto e arrestato. Il Tribunale speciale lo condannò a una pena di dieci anni e nove mesi da scontare nel carcere dell’isola di Santo Stefano, vicino a Ventotene. Ammalato nella cella d’isolamento, arrivarono le proteste degli amici d’oltralpe. Fu trasferito a Turi, poi Pianosa, Ponza e, infine, dal 1939 al 1943, a Ventotene, isola deputata al confino dei più pericolosi oppositori politici, e culla, nel ‘41, del manifesto europeista di Ernesto Rossi e Altiero Spinelli.
Con la caduta del governo di Mussolini, Pertini si precipitò a Roma, dove prese parte alla ricostituzione del Partito Socialista e alla nascita del Comitato di Liberazione Nazionale (CLN). Dopo l’8 settembre fu a capo di una formazione partigiana a Porta San Paolo contro l’avanzata tedesca, azione che gli valse un mese dopo l’arresto da parte delle SS e una condanna a morte. Con lui il presidente del PSI Giuseppe Saragat. Grazie a documenti di scarcerazione procurati da alcuni compagni socialisti, entrambi uscirono dal carcere di Regina Coeli indenni. Nella capitale Sandro Pertini rimase fino a maggio del 1944, quando partì alla volta di Milano, assumendo la segreteria del Partito socialista nei territori occupati e la rappresentanza nel Comitato di Liberazione dell’Alta Italia. A luglio Pietro Nenni lo richiamò d’urgenza nell’Urbe. Il piano originale prevedeva la partenza da Genova verso l’isola di Corsica, dove un aereo americano lo avrebbe portato nella capitale, ma l’intento naufragò proprio sulle coste liguri. Tuttavia a La Spezia riuscì a procurarsi un lasciapassare tedesco col quale raggiungere la città di Prato. Da lì fu costretto a proseguire a piedi, in pieno coprifuoco notturno, diretto a Firenze. Così arrivò Sandro Pertini alla città del Giglio, nei primi giorni dell’agosto 1944, fuggiasco e invisibile, con pendente una condanna a morte delle SS.
Con grandi difficoltà, tenendosi lontano dai soldati nazisti che pattugliavano l’intera città, Pertini incontrò l’amico Gaetano Pieraccini che gli seppe indicare i compagni socialisti che l’avrebbero nascosto e aiutato. Via dei Gori, via Bufalini, via Sant’Egidio: raggiungere via Ghibellina e la casa di Bertoletti fu per Pertini l’ultimo di tanti percorsi a ostacoli, di sudore, paura e tane fortuite. Mara, Bruno e Gino lo accolsero e lo aiutarono a prendere contatto con il Comitato di Liberazione fiorentino. Poi, l’11 agosto, la campana della torre del Bargello suonò la Liberazione di Firenze. Mentre tutti si riversavano nelle strade e i socialisti cercavano frastornati una tipografia pronta alla stampa, Sandro Pertini gettò d’impeto le parole del primo manifesto politico nella città liberata.

Silvia Maresca

Localizzazione

Località: Firenze
Indirizzo: via Ghibellina 109
Comune: Firenze
Provincia: Firenze (FI)
Regione: Toscana
Coordinate geografiche: Latitudine 43.77044 – Longitudine 11.26023

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FONTI

Sitografia
Associazione Nazionale Sandro Pertini, Biografia pubblicata sul portale www.pertini.it consultato il 2/8/2023

Giovanni Errera, Quei giorni della liberazione a Firenze, audiointervista pubblicata sul sito www.giovannierrera.it consultato il 2/8/2023

Articoli di Giovanni Errera, pagine di quotidiani storici digitalizzate, pubblicate sul sito www.giovannierrera.it consultato il 2/8/2023 

 

 

 

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ALTRE INFORMAZIONI

Data evento: agosto 1944
Cognome Nome: Pertini Sandro
Formazioni d’appartenenza: Partito socialista, brigate Matteotti
Data opera: non determinabile. Sappiamo solo che la lapide venne affissa il 23 giugno 2009
Autore: non conosciuto. Sappiamo che l’opera fu commissionata dal Comune di Firenze
Note: luogo accessibile

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PIAZZA DUOMO, COMIZIO DI PIER AMATO PERRETTA DAL BROLETTO DI COMO

PIAZZA DUOMO, COMIZIO DI PIER AMATO PERRETTA DAL BROLETTO DI COMO

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PIAZZA DUOMO, COMIZIO DI PIER AMATO PERRETTA DAL BROLETTO DI COMO

© Giuseppe Maresca – Questa immagine è protetta da copyright

Lo sbandamento dei reparti militari all’indomani dell’annuncio pubblico dell’armistizio creò un vuoto di potere presto colmato dalle forze nazifasciste. Nella città di Como, il 9 settembre 1943 decine di operai e intellettuali antifascisti si unirono nella piazza del Duomo a manifestare con i propri corpi la volontà di esserci, di poter incidere sulle decisioni che avrebbero coinvolto l’intera comunità. Pier Amato Perretta, ex magistrato, noto alle istituzioni locali e nazionali per l’autonomia di pensiero e le aspre critiche rivolte al regime, si rivolse ai manifestanti dal balcone del Broletto, storico simbolo del potere comunale e cittadino. Al discorso di Perretta seguì la decisione di recarsi insieme alla Prefettura e al Distretto militare di Como per farsi consegnare le armi e costituirsi in Guardia nazionale a difesa della città. Furono in duecento a presentarsi, ma la richiesta popolare venne subito respinta. Così iniziarono a Como la Resistenza e la lotta clandestina, che poterono contare sull’alleanza tra i partiti democratici – socialisti, democristiani, comunisti, azionisti e liberali – accordata e organizzata nelle ore successive la capitolazione di Mussolini del 25 luglio 1943. Ancor prima, nell’aprile del 1941, un piccolo gruppo appartenente al mondo professionale comasco di area socialista e liberale, costituì su iniziativa di Pier Amato Perretta la Lega Insurrezionale Italia Libera.

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Tra loro Gianluigi Balzarotti, direttore del Credito Italiano di Como, futuro segretario del Comitato di Liberazione Nazionale dell’Alta Italia (CLNAI) e l’industriale Eugenio Rosasco, fondatore dell’Unione nazionale delle forze liberali e democratiche di Como, nominato commissario prefettizio all’amministrazione comunale nei quarantacinque giorni badogliani e capo nell’agosto 1943 del Comitato per l’aiuto agli sfollati e sinistrati durante i bombardamenti alleati. Dalle prime riunioni via via la ristretta cerchia della Lega si era allargata al nascente Partito d’Azione e ai molti iscritti alla sezione comasca del Partito Socialista di Unità Proletaria di Como (PSIUP), insieme ad altri liberi professionisti legati agli ambienti antifascisti. Furono coinvolte alcune donne comasche, tra cui Ginevra Bedetti Masciadri, Nery Signorino, la musicista e docente Alda Vio, che dall’8 settembre misero a disposizione le loro case e la copertura necessaria alla lotta partigiana delle bande di Giustizia e Libertà, ma soprattutto costituirono una rete femminile di assistenza ai perseguitati politici, agli ebrei, a tutti i clandestini che dal dicembre 1943 si riversarono nella provincia di Como per tentare l’attraversamento del confine italo-svizzero e in questo modo evitare la cattura e l’internamento nei campi di concentramento.
Nei giorni che seguirono l’armistizio, con l’entrata delle forze di occupazione naziste nella città di Como, la Lega Insurrezionale venne sciolta e alcuni degli affiliati entrarono nel neonato Comitato di Liberazione Nazionale.  Le armi negate ai cittadini vennero prelevate e temporaneamente nascoste. Una buona parte delle requisizioni di armi, viveri e vettovaglie transitò nella casa di Ginevra Bedetti Masciadri che affacciava sulle sponde del lago, per essere poi trasportata sulle imbarcazioni pronte a rifornire i primi gruppi partigiani del Lario. Intanto Pier Amato Perretta, bersaglio del Regime fin dai primi anni ‘20, quando era magistrato al tribunale di Como e su mezzo stampa non risparmiò dure critiche a Mussolini e al sistema di potere, fu nel settembre 1943 tra i principali ricercati dalle SS tedesche e dei fascisti locali . Ma il motivo principale che lo portò nella città di Cremona era il figlio che era stato catturato dai nazisti e che di lì a poco sarebbe finito in Germania, internato in un campo di concentramento. Mentre le autorità fasciste lo credevano in Svizzera, Perretta rimase per un breve periodo in Toscana. Nel febbraio del 1944 si trasferì a Milano, dove entrò nella lotta clandestina, dapprima legato ai gruppi azionisti, poi all’interno dei Gruppi di Azione Patriottica (GAP) degli operai della Olap, una fabbrica di apparecchiature per l’aeronautica tedesca. Dal capoluogo lombardo raccolse e inviò alla Resistenza comasca ogni genere di aiuto materiale, occupandosi anche del reclutamento di partigiani destinati alla montagna, mentre da componente della Giunta militare del CLN di Como teneva i contatti con il Comitato dei volontari della libertà (CLV) di Milano. Il contributo al movimento resistenziale del partigiano “Amato” – così chiamato nella militanza nel Partito Comunista e tra le avanguardie operaie milanesi – durò soltanto pochi mesi. Pier Amato Perretta venne catturato nella sua abitazione in viale Lombardia il 13 novembre 1944 dalle SS tedesche su delazione di un membro dei GAP. Ferito gravemente da colpi di arma da fuoco, fu portato all’ospedale Niguarda, dove scelse di non sottoporsi all’intervento che lo avrebbe salvato ma anche destinato ad interrogatori e torture dei reparti nazisti. Morì il 15 dicembre 1944.

Silvia Maresca

Localizzazione

Località: Como
Indirizzo: Piazza del Duomo
Comune: Como
Provincia: Como (CO)
Regione: Lombardia
Coordinate geografiche: Latitudine 45.81201 – Longitudine 9.08287

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Tag:

FONTI

Bibliografia
G. Coppeno, Como, dalla dittatura alla libertà, Como, Istituto comasco per la storia del movimento di Liberazione, 1989

M. Dominioni, La biografia di Pier Amato Perretta, in Pier Amato Perretta: un uomo in difesa della libertà, testi di R. Bianchi Riva, E. D’Amico, M. Dominioni, documentazione raccolta da Giusto Perretta, Como, NodoLibri, 2005

La memoria che resiste, a cura di Giusto Perretta, Como, Istituto comasco per la storia del movimento di Liberazione, 1988

V. Roncacci, La calma apparente del lago: Como e il Comasco tra guerra e guerra civile 1940-1945, Varese, Macchione, 2003

Sitografia
M. Leoni, Palazzo del Broletto – Complesso, Como (CO), descrizione e notizie storiche della scheda monografica pubblicata sul portale www.lombardiabeniculturali.it consultato il 14/9/2023

 

 

 

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ALTRE INFORMAZIONI

Data evento: 9 settembre 1943

Cognome Nome: Perretta Pier Amato

Formazioni d’appartenenza: indipendente, vicino al Partito d’Azione, iscritto nel 1944 al Partito Comunista

Data opera: non determinabile

Autore: non determinabile

Note: l’edificio del Broletto, eretto nel XIII secolo e storico simbolo delle istituzioni comunali cittadine, affianca al lato nord la Cattedrale, condividendone l’affaccio sulla Piazza. Oggi sede di iniziative culturali, la struttura è aperta e visitabile nei giorni e negli orari previsti

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PIAZZA DUOMO, COMIZIO DI PIER AMATO PERRETTA DAL BROLETTO DI COMO

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TINTORIA LAMBERT, LUOGO DI DETENZIONE DI EBREI A COMO

TINTORIA LAMBERT, LUOGO DI DETENZIONE DI EBREI A COMO

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TINTORIA LAMBERT, LUOGO DI DETENZIONE DI EBREI A COMO

© Giuseppe Maresca, fotografo – Questa immagine è protetta da copyright

Chi abita il comasco e dice ‘alle Caserme’ si sta riferendo alla zona periferica a sud della città murata che per più di un secolo ha ospitato la Caserma De Cristoforis. Nella vicina via Carlo de Cristoforis, ai civici 9 e 11, a fronte all’edificio militare, si trovava la Tintoria Lambert, una delle industrie tessili che occupava operaie e operai della provincia lariana. Nel dicembre del 1943, in una Como occupata dai nazisti, dove ogni aspetto di convivenza civile era sottoposto alle strutture periferiche della neonata Repubblica di Salò, alcuni locali dismessi della fabbrica divennero luogo di detenzione temporanea per molti profughi, soprattutto cittadini italiani di origine ebraica, che tentavano di oltrepassare il confine svizzero. L’esodo disperato nacque dalla pubblicazione di un’ordinanza di polizia disposta dal Ministero degli Interni della Repubblica Sociale Italiana (RSI) il 30 novembre 1943 che condannava gli ebrei, per il fatto di essere ebrei, al carcere, alla confisca dei beni, alla deportazione nei campi di concentramento. Era la naturale conseguenza di quello che poco prima era comparso all’interno della Carta di Verona come uno dei principi fondativi della neonata RSI: gli ebrei venivano considerati stranieri in tempo di pace e nemici in guerra. 

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Si riversarono quindi nei territori di frontiera del comasco centinaia di perseguitati per motivi razziali, ma anche oppositori politici, esuli antifascisti, militari sbandati dopo l’armistizio dell’8 settembre, renitenti alla leva dell’esercito fascista, prigionieri alleati fuggiti dal carcere. Qualcuno riuscì a salvarsi, molti finirono stipati nelle carceri comasche, in attesa di una sentenza già scritta.
Donne sole, o con figli molto piccoli, anziani bisognosi di cure, oltre a uomini, tutti ridotti negli spazi vuoti della Tintoria Lambert, privati del cibo, di servizi igienici, di diritti umani. Ma non rimasero invisibili. C’era qualcuno già in odore di ribellione, di resistenza, che iniziò a mobilitarsi. Vicino allo stabile abitavano alcune donne che si attivarono spontaneamente per procurare beni primari, rivolgendosi anche agli uffici della caserma De Cristoforis, vedendosi chiudere la porta, minacciate di deportazione. Lì vicino abitava anche una donna che lavorava come domestica nella casa di Ginevra Bedetti Masciadri, la persona che in città organizzava la rete di aiuti, per lo più femminile, trovando rifugi sicuri e i contatti necessari per i passaggi in Svizzera, e che si attivò immediatamente per alleviare nei limiti oggettivi la detenzione nella Tintoria. Sempre in via De Cristoforis viveva una ragazza di ventitré anni, Luisa Colombo. Da crocerossina riuscì ad avere accesso ai locali della Lambert, coperta da una divisa e dalla giovane età che ben celavano qualsiasi altro proposito. Oltre a curare e cercare di portare conforto ai detenuti, Colombo fu determinante per la riuscita di alcune evasioni avvenute tra il dicembre 1943 e il gennaio 1944, riuscendo a salvare almeno quattro persone. Aveva instaurato legami profondi con chi aveva aiutato e conosciuto in quei mesi di repressione. Ebbe con alcuni scambi epistolari, diverse furono le lettere inviate dai campi di Fossoli, un campo di internamento vicino a Carpi, in provincia di Modena, dove molti ebrei della Tintoria Lambert vennero trasferiti, prima della deportazione ad Auschwitz nell’agosto 1944. Il 12 gennaio 2005, a pochi giorni dalla sua morte, lo Stato d’Israele la insignì del titolo di ‘Giusto fra le nazioni’. Con lei anche Ginevra Bedetti Masciadri. In vita non ebbe alcuna medaglia Luisa Colombo, ma non le interessava granchè. Sapeva di aver agito come altre, guidata da quello che definì dopo la Liberazione un suo “dovere morale”, e che le valse il calore e l’amicizia di chi aveva salvato, dei congiunti e dei figli di chi non era sopravvissuto.

Silvia Maresca

Localizzazione

Località: Como
Indirizzo: via Carlo De Cristoforis, 9
Comune: Como
Provincia: Como (CO)
Regione: Lombardia
Coordinate geografiche: Latitudine 45.79646 – Longitudine 9.09201

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FONTI

Bibliografia
R. Cairoli, Nessuno mi ha fermata. Antifascismo e Resistenza nell’esperienza delle donne del Comasco, 1922-1945, Como, NodoLibri, 2005

Sitografia
R. Marchesi, G. Cani, Storie di confine: sommersi e salvati, articolo pubblicato sul sito
www.questionegiustizia.it consultato il 9/9/2023

 

 

 

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ALTRE INFORMAZIONI

Data evento: dicembre 1943 – gennaio 1944

Cognome Nome: Bedetti Masciadri Ginevra; Colombo Andreani Luisa

Formazioni d’appartenenza: Ginevra Bedetti Masciadri agì insieme al Comitato di Liberazione Nazionale di Como e alle formazioni partigiane di Giustizia e Libertà. Collaborava con alcuni esponenti del Partito d’Azione

Data opera: non determinabile

Autore: non conosciuto

Note: si tratta di un edificio privato, non liberamente accessibile. Ad oggi non si segnala alcuna targa commemorativa

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