ABITAZIONE DI MARIO ALBERTO ROLLIER E RITA ISENBURG A MILANO

ABITAZIONE DI MARIO ALBERTO ROLLIER E RITA ISENBURG A MILANO

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ABITAZIONE DI MARIO ALBERTO ROLLIER E RITA ISENBURG A MILANO

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Nell’abitazione di Mario Alberto Rollier e Rita Isenburg a Milano dall’estate del 1941 si discusse molto con amiche e amici oppositori del regime fascista, poi protagonisti della Resistenza, di come cambiare l’Europa una volta finita la guerra.
Posta al civico 37 di via Poerio, una targa di marmo ne ricorda il frammento più luminoso:
“In casa Rollier una ventina di antifascisti / provenienti dal carcere e dal confino / che avevano risposto all’appello di Altiero Spinelli e Ernesto Rossi / e al loro “Manifesto di Ventotene” / fondarono il 27-28 agosto 1943 / il Movimento federalista europeo / che da allora è sempre stato in Italia e in Europa / all’avanguardia nella difficile e lunga lotta / per la costruzione di una Europa libera e unita.”
Relazioni intessute in anni di riunioni clandestine, riflessioni sopra un futuro ancora di là a venire portate in continente dalle conginte dei confinati, piantarono i semi di un progetto umano e politico molto ambizioso, ma soprattutto necessario. 

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Proprio nella casa di Rita Isenburg e Mario Rollier, punto di incontro e riflessione antifascista almeno dalla metà degli anni ’30, si sedimentò il germe federalista.

Si erano sposati, Rita e Mario, nel 1933. Lui di famiglia valdese e lei protestante, si conobbero giovanissimi in vacanza nelle valli di Torre Pellice, nel Piemonte occidentale. Mario faceva parte della generazione di giovani che frequentavano il Collegio valdese di Torre Pellice, culla negli anni Venti di un evangelismo non più confinato nei testi, ma vissuto nelle scelte individuali, civili, e politiche. Si distanziarono quei ragazzi dalla Chiesa evangelica ufficiale e un po’ ingessata, accomodante con il potere di turno, affermando a un certo punto l’urgenza di opporsi al fascismo, di porre un argine alla repressione delle idee e allo svilimento dell’umanità. Rita Isenburg si avvicinò in quel momento ai valdesi e alla famiglia Rollier. Come la sua, anche la famiglia di Mario aveva già un appoggio a Milano, città dove studiarono entrambi e dove consolidarono nuove amicizie. Prima di sposarsi e trasferirsi in via Poerio con il marito, Rita abitava in via Mascheroni, la stessa di Eugenio Colorni, amico che avrebbe pagato la militanza socialista con il confino, e che contribuì alla stesura del Manifesto di Ventotene. Dall’epoca del suo arresto, nell’autunno del ’38, la moglie e amica dei Rollier Ursula Hirschmann trovò nell’abitazione di Mario e Rita punto di riferimento e conforto nei soggiorni milanesi.
I confinati erano oppositori del regime di diverse culture politiche, liberali, comunisti, socialisti. Si confrontarono in uno spazio inedito, un’isola distante da tutto, dove avevano più cose in comune lì che sulla terra ferma. Alcuni come Altiero Spinelli, smussarono le loro convinzioni, si allontanarono da alcuni dogmi e intransigenze a favore dell’incontro con l’altro. Un luogo remoto dove ebbero il privilegio di pensare al futuro, a un dopoguerra di cui non intravedevano nulla, ma che stavano immaginando. Partirono dall’esigenza di creare qualcosa di nuovo, di costruire un sistema politico unitario e sovranazionale in grado di scardinare le logiche nazionaliste e suprematiste che si innestavano nelle competizioni tra stati, lungo i loro confini.
La prima stesura, intitolata Per un’Europa libera e unita. Progetto d’un Manifesto fu terminata da Ernesto Rossi e Altiero Spinelli nell’agosto 1941. Trascritta su cartine di sigaretta, occultate nelle viscere di un pollo, lasciò l’isola-prigione nelle mani insospettabili di una donna, moglie del confinato Colorni. Ursula Hirschmann consegnò così il Manifesto a Roma e a Milano, in casa Rollier. Mario ne rimase subito colpito, coinvolgendo i sodali di via Poerio, e organizzando dalla fine del ’41 attività di propaganda e diffusione. Parteciparono alle riunioni Ada Rossi, moglie di Ernesto Rossi, Fiorella e Gigliola Spinelli, sorelle di Altiero, che avrebbero non solo dattiloscritto e diffuso il Manifesto in continente, ma con il trasferimento della famiglia Colorni-Hirschmann a Melfi, misero in contatto i congiunti a Ventotene e i federalisti di casa Rollier. Il testo originale si arricchiva e perfezionava di nuove meditazioni e sensibilità politiche, nei tempi consentiti dalla clandestinità. Le tesi federaliste, arrivate fino a Parigi nelle mani dell’esule socialista Silvio Trentin, tradotte da Hirschmann per la Resistenza antinazista in Germania, furono diramate a più ampia scala in Italia dal maggio 1943, con il primo numero del periodico “L’Unità Europea”, realizzato a Roma e rivisto in via Poerio da Mario Rollier, il fratello Guido, Ursula Hirschmann e Giorgio Peyronel.
Il proclama di Badoglio del 25 luglio diede una scossa alla lotta federalista, a partire dalla liberazione degli autori del Manifesto. Un mese dopo nacque ufficialmente il Movimento federalista europeo (Mfe), formatosi nelle distanze e in clandestinità, alla presenza degli autori del Manifesto, Ernesto Rossi e Altiero Spinelli, di chi aveva dato il suo contributo e altri che poterono affacciarsi solo in quel momento. Dal documento-verbale del convegno, risultano trentuno i partecipanti, cui si aggiungono altri citati da successive testimonianze. Tra gli altri, il 27 e il 28 agosto 1943 Rita Isenburg e Mario Rollier accolsero Arialdo Banfi, Lisli Carini Basso, Eugenio Colorni, Vittorio Foa, Leone Ginzburg, Ursula Hirschmann, Willy Jervis, Elena Moncalvi Banfi, Ada Rossi, Ernesto Rossi, Fiorella e Gigliola Spinelli, Franco Venturi, Luisa Villani Usellini.
Tutte e tutti arrivavano la mattina e lasciavano l’assemblea prima del coprifuoco, compresi i Rollier che dormivano sfollati fuori città. Approvarono sei Tesi politiche con cui realizzare i principi enunciati nel Manifesto. Per ottenere gli scopi prefissi, il Movimento federalista europeo non avrebbe assunto natura partitica, quindi vincolata a candidature e vittorie elettorali, ma trasversale, con fautori dell’unità europea presenti nelle diverse ali del parlamento. Serviva costituire un ente federale eletto democraticamente cui demandare politiche d’interesse comune, allontanandosi dalle spinte autarchiche e unilaterali, ponendo al centro la vita e i diritti dei cittadini.
Mario Alberto Rollier dopo l’8 settembre lasciò Milano per la Val Pellice, dove organizzò con l’amico Willy Jervis i primi gruppi partigiani di Giustizia e Libertà, assumendo l’incarico di commissario politico e comandante. Dalla perquisizione della casa milanese del fratello Guido avvenuta nel novembre del ’43 l’abitazione di via Poerio rimase abbandonata fino alla Liberazione. Nelle soste milanesi Mario trovò ospitalità dai Ritter, genitori di Enrichetta (Enriquette) Ritter, fidata segretaria, entrata anche lei, staffetta partigiana, nella Resistenza. Da Milano Rollier avrebbe tenuto i contatti con Rossi e Spinelli, emigrati in Svizzera per diffondere tra gli esuli europei le tesi federaliste, divulgando sulle pagine de “L’Unità Europea” le novità e i risultati politici d’Oltralpe. Nella primavera del ’44, oltre ai propri articoli, riportò il documento integrale del Progetto di Dichiarazione dei movimenti di Resistenza e di liberazione europei, su cui gli autori del Manifesto di Ventotene avevano lavorato insieme a Eugenio Reale e a rappresentanti della resistenza francese, jugoslava, olandese, danese e norvegese. Mario Rollier fu tramite diretto delle parti politiche che sostennero il movimento federalista, il Partito d’Azione e i cristiano democratici, informando anche socialisti e comunisti che presenziarono ad alcune iniziative in qualità di osservatori. Le notizie arrivarono anche tra le fila partigiane, in particolare sui fogli clandestini di Giustizia e libertà, operazione facilitata dalla nomina di Rollier a responsabile organizzatore delle squadre milanesi Gl.
Il manifesto federalista trovò diffusione nella Roma occupata, pubblicato nel gennaio del 1944 all’interno del volume Problemi della federazione europea. Responsabile dell’edizione e autore della prefazione fu Eugenio Colorni, attivo nella Resistenza romana dopo la fuga dal confino di Melfi nel maggio del ‘43.
Di fatto già separati, l’ultimo incontro con Ursula Hirschmann in via Poerio coincise con l’inizio dell’avventura federalista. Colorni entrò nella lotta partigiana per la liberazione della capitale. Hirschmann portò con sé le tre figlie oltre il confine elvetico, insieme ad Altiero Spinelli, nuovo compagno di vita, Ernesto e Ada Rossi. Fu lei persona di riferimento per l’organizzazione di incontri tra i federalisti europei, e presenza imprescindibile a Parigi, prima capitale liberata, di cui parlava la lingua e conosceva perfettamente l’ambiente culturale. I principi concepiti due anni prima nell’isola di Ventotene, enunciati a Manifesto e scivolati dal confino al continente tra mille rischi, trovarono prima eco ufficiale alla Conferenza di Parigi, nella Maison de la Chimie, dal 22 al 25 marzo 1945.

Silvia Maresca

Località: Milano
Indirizzo: via Carlo Poerio, 37
Comune: Milano
Provincia: Milano
Regione: Lombardia
Coordinate geografiche: Latitudine 45.47174 – Longitudine 9.20998

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FONTI

Bibliografia

F. Artali, R. Cairoli, Fare l’Europa. Europeismo e antifascismo: i fatti e i protagonisti, Milano, Fiap – Enciclopedia delle donne, 2017

R. Cairoli (a cura di), L’Europa delle donne, Milano, Biblion, 2021

L. Passerini, Donne per l’Europa, Torino : Cirsde, 2019

C. Rognoni Vercelli (a cura di), Mario Alberto Rollier : un valdese federalista, Milano, Jaca book, 1991

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ALTRE INFORMAZIONI

Data evento: 1943 – 1945

Cognome Nome: Isenburg Rita; Rollier Mario

Formazioni d’appartenenza: Partito d’Azione; gruppi partigiani di Giustizia e Libertà

Data opera: non conosciuta

Autore: non conosciuto

contatti

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PENSIONE “VILLA FIORITA” DI GINA ARCHETTI, A ROMA

PENSIONE “VILLA FIORITA” DI GINA ARCHETTI, A ROMA

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PENSIONE “VILLA FIORITA” DI GINA ARCHETTI, A ROMA

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Al quartiere Nomentano, civico 3 di via Bartolomeo Eustachio, l’albergatrice di “Villa Fiorita” Gina Archetti scelse nella Roma occupata una seconda vita per la sua pensione, coraggiosa e insospettabile.
Di fronte alla sede di un Comando tedesco, a pochi metri dal cancello, visibile, di Villa Torlonia, dimora del duce, Gina Archetti ospitò e nascose nel suo albergo partigiani, ebrei perseguitati, militari sbandati, per un pasto prima della fuga, qualche notte di riposo o soggiorni prolungati da un rischio mortale. Della padrona di Villa Fiorita, Giovanna Criscione Stuparich, ospite assidua della pensione, ricorda l’indole generosa e la serenità, il sorriso con cui accettava, con sfida e senza riserve, anche coloro tra i più invischiati nelle azioni di lotta clandestina che potevano condurla verso la rappresaglia. Vennero nascoste armi nel suo giardino, transitarono documenti falsi e latitanti che sosteneva con denari propri e piccoli commerci improvvisati. L’umanità che Gina Archetti viveva e trasmetteva nei gesti, attraverso sguardi complici e acuti, era ammantata da un silenzio intenso, profondo, che riempiva l’ingresso e le stanze, donando a Villa Fiorita un’aura imperscrutabile. Durante i controlli, a tedeschi e fascisti si parava davanti un registro perfettamente ordinato e compilato, e una docile e paffuta anziana, presenza silenziosa che li seguiva con sguardo serafico, per tutto il tempo, fino al loro congedo.

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Corse mille rischi Gina Archetti, non chiese nulla in cambio. La sua Resistenza civile, ai margini, in apparenza, della storia politica e militare, nacque spontanea, ma si mantenne costante lungo i nove mesi di occupazione nazifascista. Una scelta individuale, come quella di molte donne, che fece la differenza tra la vita e la morte, tra l’esserci e l’indifferenza.

Silvia Maresca

Localizzazione

Località: Roma
Indirizzo:  via Bartolomeo Eustachio, 3
Comune: Roma
Provincia: Roma
Regione: Lazio
Coordinate geografiche: Latitudine 41.91190 – Longitudine 12.50896

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FONTI

Bibliografia
G. Criscione, Un rifugio a pochi metri dai nazi, in: R. Cairoli, F. Imprenti, Antologia Lettera ai Compagni. Scritti scelti, Milano, Fiap, 2015, p. 288

Sitografia
Supplemento ordinario alla Gazzetta ufficiale n. 35 del 12 febbraio 1951, p. 164, consultabile in digitale sul portale books.google.it

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ALTRE INFORMAZIONI

Data evento: settembre 1943 – giugno 1944

Cognome Nome: Archetti Gina

Formazioni d’appartenenza: non rilevate

Data opera: non conosciuta

Autore: non conosciuto

Note: per la geolocalizzazione del luogo, civico 3 e 5 insistono sullo stesso edificio

contatti

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CASA DI ELENA MONCALVI E ARIALDO BANFI A MILANO

CASA DI ELENA MONCALVI E ARIALDO BANFI A MILANO

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CASA DI ELENA MONCALVI E ARIALDO BANFI A MILANO

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Elena Moncalvi e Arialdo Banfi avevano casa a Milano, numero 36 di via Modena. Avvocato e operatrice sanitaria, si erano conosciuti poco più che ventenni, erano mossi entrambi da passione politica, lui futuro dirigente del Partito d’Azione, lei socialista, militava nel Movimento di unità proletaria (MUP). Arialdo era partito nel 1941 per la Sicilia, tenente nelle zone chiamate di “guerra non guerreggiata”, trasferito poi in Francia, nei territori occupati dagli italiani. Con il 25 luglio 1943, alla caduta del regime fascista, avrebbe abbandonato l’esercito e raggiunto Elena a Milano. Era un’estate di ritorni e incontri, tra i rimasti e chi tornava da anni di carcere e confino. Immaginato e scritto nel 1941 sull’isola di Ventotene, “Per un’Europa libera e unita. Progetto di un manifesto”, opera dei confinati Ernesto Rossi e Altiero Spinelli, diede vigore a spunti di confronto alla clandestinità milanese. Il 27 e il 28 agosto 1943 Elena e Arialdo erano tra i convenuti in via Poerio, nella casa di Mario Rollier e Rita Isenburg, a condividere l’ atto fondativo del Movimento federalista europeo (Mfe), a disegnare un continente amputandone i contorni nazionali, segni antropici di guerra e dominio.
Iniziata la Resistenza Arialdo Banfi andò in Piemonte, a organizzare le formazioni partigiane di Giustizia e libertà in Val Pellice (Torino). Elena Moncalvi divenne staffetta, preparava documenti falsi, prendeva informazioni e trasmetteva messaggi.

La casa di via Modena divenne base partigiana. Tra gli altri accolse Aldo Valcarenghi, reduce da San Vittore, con cui aveva condiviso la militanza nel MUP – ne era il fondatore – partecipando con lui alla costituzione dopo l’armistizio del Partito socialista di unità proletaria (PSIUP). 

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Diede rifugio ai compagni impegnati nella lotta partigiana nelle brigate Matteotti, tra loro Andrea Beltramini e Sandro Pertini, futuro dirigente socialista del Comitato di liberazione nazionale dell’alta Italia (CLNAI).

Il rischio di essere traditi era tangibile, i controlli non esaurivano i sospetti. Non passò molto tempo e un delatore fece il suo nome. Il 12 novembre 1943 Elena Moncalvi fu catturata e rinchiusa a San Vittore. Era sorte comune. In carcere trovò anche Maria Cazzulini, faceva la rammendatrice di tappeti persiani, complice dei primi mesi concitati nella Resistenza milanese. Nei cinque mesi di carcere la sua abitazione non smise di ospitare amici e compagni, nuova padrona di casa la portinaia dello stabile, Marina Rimoldi. Decise di aprire anche i suoi alloggi, improvvisati a sede socialista, Carla Voltolina a fianco del futuro consorte Pertini.
Di nuovo in libertà, nell’aprile del ’44 Elena si mise in contatto con Arialdo, evaso da San Vittore. Riprese il filo interrotto dalla prigionia, ma molto era accaduto. Alcuni compagni erano caduti, di altri catturati si poteva solo sperare, come l’amico Valcarenghi, arrestato dopo il grande sciopero operaio di marzo. Finì nel campo d’internamento di Fossoli, nel modenese, poi deportato a Mauthausen, infine a Gusen. Ne potè dare racconto.
Elena Moncalvi fu attiva nella Resistenza fino all’autunno del 1944. Rimase ferita durante un bombardamento aereo mentre tornava in treno da Caravaggio, dov’era la primogenita Silvia, ancora bambina. Intervenne subito il dottor Moncalvi, suo padre, che le salvò la gamba. Il 18 gennaio 1945 Elena diede alla luce Andrea, videro insieme la Liberazione.

Silvia Maresca

Localizzazione

Località: Milano
Indirizzo: Via Gustavo Modena, 36
Comune: Milano
Provincia: Milano (MI)
Regione: Lombardia
Coordinate geografiche: Latitudine 45.470754 – Longitudine 9.218621

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FONTI

Bibliografia

M. Alloisio, G. Beltrami, Volontarie della libertà, Milano, Mazzotta, 1981

S. Maresca, Elena Moncalvi Banfi, Cornate d’Adda (Italia) 1912 – Il Cairo (Egitto) 1974, voce biografica nel volume: L’Europa delle donne, a cura di R. Cairoli, Milano, Biblion, 2021

Sitografia

Arialdo Banfi 1913-1997, Fondo archivistico digitalizzato e pubblicato nel portale patrimonio.archivio.senato.it fascicoli: 2.5.1 processo-penale-contro-banda-koch; 2.9.1 documenti-personali-1

Arialdo Banfi ed Elena Moncalvi con la figlia (Monguelfo, 1943), fotografia pubblicata nel portale www.pertini.it

Banfi Arialdo, voce biografia e descrizione del fondo archivistico a cura della Fondazione di studi storici “Filippo Turati” pubblicate sul sito www.fondazionestudistoriciturati.it

L. Ricciardi, Valcarenghi, il patriota dimenticato, articolo pubblicati sul sito www.avantionline.it

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ALTRE INFORMAZIONI

Data evento: 1943-1945

Cognome Nome: Moncalvi Elena, Banfi Arialdo

Formazioni d’appartenenza: Partito d’Azione; Partito socialista di unità proletaria (PSIUP); Brigate Giustizia e Libertà; Brigate Matteotti

Data opera: non determinata

Autore: non conosciuto

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CASA DI ELENA MONCALVI E ARIALDO BANFI A MILANO

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CASA DI VIRGINIA SCALARINI A MILANO

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CASA DI VIRGINIA SCALARINI A MILANO

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A Milano, in via Giovanni Omboni 7, molti furono i partigiani, militanti nel Partito d’Azione e nelle formazioni partigiane di Giustizia e libertà a conoscere la casa di Virginia Scalarini. Prima di sposarsi vi abitava il padre Giuseppe, fumettista e disegnatore satirico dell’Avanti, autore di vignette che irritarono i potenti e gli causarono numerosi arresti e condanne al confino, l’ultimo sotto il regime fascista a Lampedusa e Ustica alla fine degli anni ’20. Marito di Virginia era lo psichiatra triestino Amos Chiabov, antifascista dai tempi dell’Università a Firenze, quando scriveva per la Giovane Italia. Fu travolto nella scia di arresti seguita all’attentato al re durante la Fiera campionaria milanese del 1928, condannato come molti al confino nell’isola di Ponza. Lì per due anni si unirono idee e sentimenti, immaginando e pianificando le reti di opposizione al regime. Si crearono e saldarono legami umani, per Amos Chiabov significò anche una lunga amicizia con il socialista Lelio Basso. Nella clandestinità seguita all’8 settembre e una nuova identità, Amos, o “dottor Andrea”, ebbe l’incarico nel CLNAI di responsabile dei servizi sanitari, e fece della villa di famiglia a Caldè sul lago Maggiore un avamposto della Resistenza, nascondiglio e base di partenza per superare il confine elvetico.

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Negli alloggi meneghini di via Omboni rimase Virginia, le tre figlie al sicuro in collegio. Le mura e le stanze della casa occultavano tutto ciò che serviva di prezioso per la clandestinità. Cibo, giornali, documenti falsi, e infine armi, che il padre Giuseppe, convinto pacifista e antimilitarista, non avrebbe mai voluto sotto il suo letto. Trovarono ospitalità compagni di lotta, lì si riunivano, e decidevano. Abitarono per un periodo a casa Scalarini Pina Milani Sponzilli, della formazione Gl valdostana, e Lena Vecchietti, di Mondovì, entrambe nella segreteria di Ferruccio Parri a sostituire Marianna Battistella, arrestata nel novembre 1944.
Molteplici furono le forme di resistenza e muto soccorso, nascevano in risposta a vecchie e nuove oppressioni. La via ai campi di sterminio partiva dalla caccia all’ebreo, poi l’allontanamento e la segregazione nei campi di internamento italiani. Virginia Scalarini si occupava di questo, teneva i contatti per conto del Comitato milanese con il Cln di Bolzano per assistere gli internati del campo di concentramento di Gries. Oppositori politici, ebrei, prigionieri di guerra alleati, ma anche zingari, donne e bambini, congiunti di partigiani tenuti in ostaggio. Da fuori si aiutava la resistenza organizzata all’interno del campo, arrivavano denaro, cibo e vestiti. Qualcuno riceveva notizie dalla famiglia. Altri riuscirono a fuggire. Chi aiutava, interno o esterno al campo, Virginia Scalarini e molti con lei, rischiava punizioni e torture. Mine incontrollate per le SS, impegnate a scardinare un ingranaggio centrale e delicato della macchina nazista.

Silvia Maresca

Localizzazione

Località: Milano
Indirizzo: Via Giovanni Omboni 7
Comune: Milano
Provincia: Milano (MI)
Regione: Lombardia
Coordinate geografiche: Latitudine 45.47724 – Longitudine 9.20957

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FONTI

Bibliografia
M. Alloisio, G. Beltrami, Volontarie della libertà, Milano, Mazzotta, 1981

L. Valiani, Tutte le strade conducono a Roma, Bologna, il Mulino, 1983

Sitografia
(consultata il 4 giugno 2024)
L’anagrafe dei sovversivi bergamaschi 1904-1943: Chiabov Amos, scheda consultabile sul portale dell’Archivio di Stato di Bergamo asb.midainformatica.it

Bolzano, scheda del campo di concentramento pubblicata sul portale deportati.it

Giuseppe Scalarini, testo biografico pubblicato sul sito www.scalarini.it

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ALTRE INFORMAZIONI

Data evento: 1943-1945

Cognome Nome: Scalarini Virginia; Scalarini Giuseppe; Chiabov Amos

Formazioni d’appartenenza: Partito d’Azione; Brigate Giustizia e Libertà

Data opera: non determinata

Autore: non conosciuto

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CASA GOISIS A MILANO

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CASA GOISIS A MILANO

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Casa Goisis fu nella Resistenza di Milano base partigiana e sede di comando per le formazioni di Giustizia e libertà. A via Andrea Doria 15 abitava una famiglia molto numerosa. Eugenia, Tina, Bice, Ginin e il fratello “Pepp” Goisis avevano accettato di abdicare alla possibilità di chiudersi nell’attesa aprendo le porte alla ribellione e alle azioni clandestine.
Tina era la sorella maggiore. Partiva da Milano per la campagna bergamasca tornando con i rifornimenti di viveri, una parte di questi destinata a chi scontava l’opposizione politica nelle carceri di San Vittore. Da un amico di Bergamo arrivavano documenti immacolati che le sorelle Goisis riempivano di nuove identità. Bice e Ginin erano crocerossine, la prima all’Istituto Tumori, l’altra allo Zonda, il padiglione chirurgico del Policlinico di Milano più volte colpito dai bombardamenti. Direttore del reparto chirurgia dell’Istituto Tumori era già dal 1936 Pietro Bucalossi, allora militante nel Partito D’Azione e poi stretto collaboratore di Ferruccio Parri nel Comitato di liberazione nazionale dell’alta Italia (CLNAI). Era un ottimo oncologo, ma prima di tutto e in quel momento in particolare un medico che non rinnegava il giuramento. All’istituto Bice portava dentro i compagni feriti, li medicava, li nascondeva. Grazie a lei e alla complicità delle religiose dell’Istituto, amici e partigiani ricevevano protezione e cure altrimenti negate.

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Spesso non rientrava a casa Goisis. Dopo il turno di lavoro Bice era la staffetta che consegnava messaggi. Sapeva di dover stare attenta, ogni sera, addosso i documenti da recapitare alla persona giusta. Una in particolare, sconosciuta, si suppone fosse un maresciallo, a lui affidava la maggior parte dei documenti clandestini. A Eugenia un paio di volte andò male, catturata e reclusa in carcere, come molte donne della Resistenza il suo ruolo ciecamente sottovalutato.
Non era facile intuire chi, quanti fossero gli abitanti di casa Goisis. Chi ospitava e che era ospitato. I vecchi paradigmi sociali si erano come dissolti, il mio e il tuo vennero abbandonati in quei venti mesi dove ogni giorno, ogni notte, qualcuno rischiava per gli altri, i confini di ognuno sbiaditi nella causa comune. Questo accadde almeno fino all’irruzione della Muti, corpo militare, segugi e torturatori al soldo della Repubblica sociale e degli occupanti nazisti. Cercavano il partigiano giellino Pepp Goisis e il dottor Bucalossi, lui comparso in un elenco dei componenti del CLNAI finito in mano fascista. Passò in clandestinità per un po’, ribattezzato ‘Guido’. Dal 1953 deputato a Roma nelle fila socialiste del PSDI, arrivò dieci anni dopo sullo scranno più alto di palazzo Marino. Il 25 aprile 1965 era a San Vittore, osservava la posa della lastra che commemora le vite mutilate, interrotte dall’oppressione nazifascista, a donare radici e senso del presente.

Silvia Maresca

Localizzazione

Località: Milano
Indirizzo: viale Andrea Doria 15
Comune: Milano
Provincia: Milano (MI)
Regione: Lombardia
Coordinate geografiche: Latitudine 45.48604 – Longitudine 9.21146

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FONTI

Bibliografia
M. Alloisio, G. Beltrami, Volontarie della libertà, Milano, Mazzotta, 1981

D. De Angelis, Pietro Mancini. La spontaneità come pratica, Roma, Gangemi, 2012

 

 

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ALTRE INFORMAZIONI

Data evento: 1943-1945

Cognome Nome: Eugenia Goisis; Tina Goisis; Ginin Goisis; Bice Goisis; Pepp Goisis; Pietro Bucalossi

Formazioni d’appartenenza: Partito d’Azione; Brigate Giustizia e Libertà

Data opera: non determinata

Autore: non conosciuto

Note: 

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