PENSIONE “VILLA FIORITA” DI GINA ARCHETTI, A ROMA

PENSIONE “VILLA FIORITA” DI GINA ARCHETTI, A ROMA

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PENSIONE “VILLA FIORITA” DI GINA ARCHETTI, A ROMA

© Redazione – Questa immagine è protetta da copyright.

Al quartiere Nomentano, civico 3 di via Bartolomeo Eustachio, l’albergatrice di “Villa Fiorita” Gina Archetti scelse nella Roma occupata una seconda vita per la sua pensione, coraggiosa e insospettabile.
Di fronte alla sede di un Comando tedesco, a pochi metri dal cancello, visibile, di Villa Torlonia, dimora del duce, Gina Archetti ospitò e nascose nel suo albergo partigiani, ebrei perseguitati, militari sbandati, per un pasto prima della fuga, qualche notte di riposo o soggiorni prolungati da un rischio mortale. Della padrona di Villa Fiorita, Giovanna Criscione Stuparich, ospite assidua della pensione, ricorda l’indole generosa e la serenità, il sorriso con cui accettava, con sfida e senza riserve, anche coloro tra i più invischiati nelle azioni di lotta clandestina che potevano condurla verso la rappresaglia. Vennero nascoste armi nel suo giardino, transitarono documenti falsi e latitanti che sosteneva con denari propri e piccoli commerci improvvisati. L’umanità che Gina Archetti viveva e trasmetteva nei gesti, attraverso sguardi complici e acuti, era ammantata da un silenzio intenso, profondo, che riempiva l’ingresso e le stanze, donando a Villa Fiorita un’aura imperscrutabile. Durante i controlli, a tedeschi e fascisti si parava davanti un registro perfettamente ordinato e compilato, e una docile e paffuta anziana, presenza silenziosa che li seguiva con sguardo serafico, per tutto il tempo, fino al loro congedo.

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Corse mille rischi Gina Archetti, non chiese nulla in cambio. La sua Resistenza civile, ai margini, in apparenza, della storia politica e militare, nacque spontanea, ma si mantenne costante lungo i nove mesi di occupazione nazifascista. Una scelta individuale, come quella di molte donne, che fece la differenza tra la vita e la morte, tra l’esserci e l’indifferenza.

Silvia Maresca

Localizzazione

Località: Roma
Indirizzo:  via Bartolomeo Eustachio, 3
Comune: Roma
Provincia: Roma
Regione: Lazio
Coordinate geografiche: Latitudine 41.91190 – Longitudine 12.50896

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FONTI

Bibliografia
G. Criscione, Un rifugio a pochi metri dai nazi, in: R. Cairoli, F. Imprenti, Antologia Lettera ai Compagni. Scritti scelti, Milano, Fiap, 2015, p. 288

Sitografia
Supplemento ordinario alla Gazzetta ufficiale n. 35 del 12 febbraio 1951, p. 164, consultabile in digitale sul portale books.google.it

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ALTRE INFORMAZIONI

Data evento: settembre 1943 – giugno 1944

Cognome Nome: Archetti Gina

Formazioni d’appartenenza: non rilevate

Data opera: non conosciuta

Autore: non conosciuto

Note: per la geolocalizzazione del luogo, civico 3 e 5 insistono sullo stesso edificio

contatti

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CASA DI ELENA MONCALVI E ARIALDO BANFI A MILANO

CASA DI ELENA MONCALVI E ARIALDO BANFI A MILANO

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CASA DI ELENA MONCALVI E ARIALDO BANFI A MILANO

© Redazione – Questa immagine è protetta da copyright

Elena Moncalvi e Arialdo Banfi avevano casa a Milano, numero 36 di via Modena. Avvocato e operatrice sanitaria, si erano conosciuti poco più che ventenni, erano mossi entrambi da passione politica, lui futuro dirigente del Partito d’Azione, lei socialista, militava nel Movimento di unità proletaria (MUP). Arialdo era partito nel 1941 per la Sicilia, tenente nelle zone chiamate di “guerra non guerreggiata”, trasferito poi in Francia, nei territori occupati dagli italiani. Con il 25 luglio 1943, alla caduta del regime fascista, avrebbe abbandonato l’esercito e raggiunto Elena a Milano. Era un’estate di ritorni e incontri, tra i rimasti e chi tornava da anni di carcere e confino. Immaginato e scritto nel 1941 sull’isola di Ventotene, “Per un’Europa libera e unita. Progetto di un manifesto”, opera dei confinati Ernesto Rossi e Altiero Spinelli, diede vigore a spunti di confronto alla clandestinità milanese. Il 27 e il 28 agosto 1943 Elena e Arialdo erano tra i convenuti in via Poerio, nella casa di Mario Rollier e Rita Isenburg, a condividere l’ atto fondativo del Movimento federalista europeo (Mfe), a disegnare un continente amputandone i contorni nazionali, segni antropici di guerra e dominio.
Iniziata la Resistenza Arialdo Banfi andò in Piemonte, a organizzare le formazioni partigiane di Giustizia e libertà in Val Pellice (Torino). Elena Moncalvi divenne staffetta, preparava documenti falsi, prendeva informazioni e trasmetteva messaggi.

La casa di via Modena divenne base partigiana. Tra gli altri accolse Aldo Valcarenghi, reduce da San Vittore, con cui aveva condiviso la militanza nel MUP – ne era il fondatore – partecipando con lui alla costituzione dopo l’armistizio del Partito socialista di unità proletaria (PSIUP). 

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Diede rifugio ai compagni impegnati nella lotta partigiana nelle brigate Matteotti, tra loro Andrea Beltramini e Sandro Pertini, futuro dirigente socialista del Comitato di liberazione nazionale dell’alta Italia (CLNAI).

Il rischio di essere traditi era tangibile, i controlli non esaurivano i sospetti. Non passò molto tempo e un delatore fece il suo nome. Il 12 novembre 1943 Elena Moncalvi fu catturata e rinchiusa a San Vittore. Era sorte comune. In carcere trovò anche Maria Cazzulini, faceva la rammendatrice di tappeti persiani, complice dei primi mesi concitati nella Resistenza milanese. Nei cinque mesi di carcere la sua abitazione non smise di ospitare amici e compagni, nuova padrona di casa la portinaia dello stabile, Marina Rimoldi. Decise di aprire anche i suoi alloggi, improvvisati a sede socialista, Carla Voltolina a fianco del futuro consorte Pertini.
Di nuovo in libertà, nell’aprile del ’44 Elena si mise in contatto con Arialdo, evaso da San Vittore. Riprese il filo interrotto dalla prigionia, ma molto era accaduto. Alcuni compagni erano caduti, di altri catturati si poteva solo sperare, come l’amico Valcarenghi, arrestato dopo il grande sciopero operaio di marzo. Finì nel campo d’internamento di Fossoli, nel modenese, poi deportato a Mauthausen, infine a Gusen. Ne potè dare racconto.
Elena Moncalvi fu attiva nella Resistenza fino all’autunno del 1944. Rimase ferita durante un bombardamento aereo mentre tornava in treno da Caravaggio, dov’era la primogenita Silvia, ancora bambina. Intervenne subito il dottor Moncalvi, suo padre, che le salvò la gamba. Il 18 gennaio 1945 Elena diede alla luce Andrea, videro insieme la Liberazione.

Silvia Maresca

Localizzazione

Località: Milano
Indirizzo: Via Gustavo Modena, 36
Comune: Milano
Provincia: Milano (MI)
Regione: Lombardia
Coordinate geografiche: Latitudine 45.470754 – Longitudine 9.218621

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FONTI

Bibliografia

M. Alloisio, G. Beltrami, Volontarie della libertà, Milano, Mazzotta, 1981

S. Maresca, Elena Moncalvi Banfi, Cornate d’Adda (Italia) 1912 – Il Cairo (Egitto) 1974, voce biografica nel volume: L’Europa delle donne, a cura di R. Cairoli, Milano, Biblion, 2021

Sitografia

Arialdo Banfi 1913-1997, Fondo archivistico digitalizzato e pubblicato nel portale patrimonio.archivio.senato.it fascicoli: 2.5.1 processo-penale-contro-banda-koch; 2.9.1 documenti-personali-1

Arialdo Banfi ed Elena Moncalvi con la figlia (Monguelfo, 1943), fotografia pubblicata nel portale www.pertini.it

Banfi Arialdo, voce biografia e descrizione del fondo archivistico a cura della Fondazione di studi storici “Filippo Turati” pubblicate sul sito www.fondazionestudistoriciturati.it

L. Ricciardi, Valcarenghi, il patriota dimenticato, articolo pubblicati sul sito www.avantionline.it

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ALTRE INFORMAZIONI

Data evento: 1943-1945

Cognome Nome: Moncalvi Elena, Banfi Arialdo

Formazioni d’appartenenza: Partito d’Azione; Partito socialista di unità proletaria (PSIUP); Brigate Giustizia e Libertà; Brigate Matteotti

Data opera: non determinata

Autore: non conosciuto

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CASA DI VIRGINIA SCALARINI A MILANO

CASA DI VIRGINIA SCALARINI A MILANO

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CASA DI VIRGINIA SCALARINI A MILANO

© Redazione – Questa immagine è protetta da copyright

A Milano, in via Giovanni Omboni 7, molti furono i partigiani, militanti nel Partito d’Azione e nelle formazioni partigiane di Giustizia e libertà a conoscere la casa di Virginia Scalarini. Prima di sposarsi vi abitava il padre Giuseppe, fumettista e disegnatore satirico dell’Avanti, autore di vignette che irritarono i potenti e gli causarono numerosi arresti e condanne al confino, l’ultimo sotto il regime fascista a Lampedusa e Ustica alla fine degli anni ’20. Marito di Virginia era lo psichiatra triestino Amos Chiabov, antifascista dai tempi dell’Università a Firenze, quando scriveva per la Giovane Italia. Fu travolto nella scia di arresti seguita all’attentato al re durante la Fiera campionaria milanese del 1928, condannato come molti al confino nell’isola di Ponza. Lì per due anni si unirono idee e sentimenti, immaginando e pianificando le reti di opposizione al regime. Si crearono e saldarono legami umani, per Amos Chiabov significò anche una lunga amicizia con il socialista Lelio Basso. Nella clandestinità seguita all’8 settembre e una nuova identità, Amos, o “dottor Andrea”, ebbe l’incarico nel CLNAI di responsabile dei servizi sanitari, e fece della villa di famiglia a Caldè sul lago Maggiore un avamposto della Resistenza, nascondiglio e base di partenza per superare il confine elvetico.

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Negli alloggi meneghini di via Omboni rimase Virginia, le tre figlie al sicuro in collegio. Le mura e le stanze della casa occultavano tutto ciò che serviva di prezioso per la clandestinità. Cibo, giornali, documenti falsi, e infine armi, che il padre Giuseppe, convinto pacifista e antimilitarista, non avrebbe mai voluto sotto il suo letto. Trovarono ospitalità compagni di lotta, lì si riunivano, e decidevano. Abitarono per un periodo a casa Scalarini Pina Milani Sponzilli, della formazione Gl valdostana, e Lena Vecchietti, di Mondovì, entrambe nella segreteria di Ferruccio Parri a sostituire Marianna Battistella, arrestata nel novembre 1944.
Molteplici furono le forme di resistenza e muto soccorso, nascevano in risposta a vecchie e nuove oppressioni. La via ai campi di sterminio partiva dalla caccia all’ebreo, poi l’allontanamento e la segregazione nei campi di internamento italiani. Virginia Scalarini si occupava di questo, teneva i contatti per conto del Comitato milanese con il Cln di Bolzano per assistere gli internati del campo di concentramento di Gries. Oppositori politici, ebrei, prigionieri di guerra alleati, ma anche zingari, donne e bambini, congiunti di partigiani tenuti in ostaggio. Da fuori si aiutava la resistenza organizzata all’interno del campo, arrivavano denaro, cibo e vestiti. Qualcuno riceveva notizie dalla famiglia. Altri riuscirono a fuggire. Chi aiutava, interno o esterno al campo, Virginia Scalarini e molti con lei, rischiava punizioni e torture. Mine incontrollate per le SS, impegnate a scardinare un ingranaggio centrale e delicato della macchina nazista.

Silvia Maresca

Localizzazione

Località: Milano
Indirizzo: Via Giovanni Omboni 7
Comune: Milano
Provincia: Milano (MI)
Regione: Lombardia
Coordinate geografiche: Latitudine 45.47724 – Longitudine 9.20957

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FONTI

Bibliografia
M. Alloisio, G. Beltrami, Volontarie della libertà, Milano, Mazzotta, 1981

L. Valiani, Tutte le strade conducono a Roma, Bologna, il Mulino, 1983

Sitografia
(consultata il 4 giugno 2024)
L’anagrafe dei sovversivi bergamaschi 1904-1943: Chiabov Amos, scheda consultabile sul portale dell’Archivio di Stato di Bergamo asb.midainformatica.it

Bolzano, scheda del campo di concentramento pubblicata sul portale deportati.it

Giuseppe Scalarini, testo biografico pubblicato sul sito www.scalarini.it

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ALTRE INFORMAZIONI

Data evento: 1943-1945

Cognome Nome: Scalarini Virginia; Scalarini Giuseppe; Chiabov Amos

Formazioni d’appartenenza: Partito d’Azione; Brigate Giustizia e Libertà

Data opera: non determinata

Autore: non conosciuto

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CASA GOISIS A MILANO

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CASA GOISIS A MILANO

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Casa Goisis fu nella Resistenza di Milano base partigiana e sede di comando per le formazioni di Giustizia e libertà. A via Andrea Doria 15 abitava una famiglia molto numerosa. Eugenia, Tina, Bice, Ginin e il fratello “Pepp” Goisis avevano accettato di abdicare alla possibilità di chiudersi nell’attesa aprendo le porte alla ribellione e alle azioni clandestine.
Tina era la sorella maggiore. Partiva da Milano per la campagna bergamasca tornando con i rifornimenti di viveri, una parte di questi destinata a chi scontava l’opposizione politica nelle carceri di San Vittore. Da un amico di Bergamo arrivavano documenti immacolati che le sorelle Goisis riempivano di nuove identità. Bice e Ginin erano crocerossine, la prima all’Istituto Tumori, l’altra allo Zonda, il padiglione chirurgico del Policlinico di Milano più volte colpito dai bombardamenti. Direttore del reparto chirurgia dell’Istituto Tumori era già dal 1936 Pietro Bucalossi, allora militante nel Partito D’Azione e poi stretto collaboratore di Ferruccio Parri nel Comitato di liberazione nazionale dell’alta Italia (CLNAI). Era un ottimo oncologo, ma prima di tutto e in quel momento in particolare un medico che non rinnegava il giuramento. All’istituto Bice portava dentro i compagni feriti, li medicava, li nascondeva. Grazie a lei e alla complicità delle religiose dell’Istituto, amici e partigiani ricevevano protezione e cure altrimenti negate.

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Spesso non rientrava a casa Goisis. Dopo il turno di lavoro Bice era la staffetta che consegnava messaggi. Sapeva di dover stare attenta, ogni sera, addosso i documenti da recapitare alla persona giusta. Una in particolare, sconosciuta, si suppone fosse un maresciallo, a lui affidava la maggior parte dei documenti clandestini. A Eugenia un paio di volte andò male, catturata e reclusa in carcere, come molte donne della Resistenza il suo ruolo ciecamente sottovalutato.
Non era facile intuire chi, quanti fossero gli abitanti di casa Goisis. Chi ospitava e che era ospitato. I vecchi paradigmi sociali si erano come dissolti, il mio e il tuo vennero abbandonati in quei venti mesi dove ogni giorno, ogni notte, qualcuno rischiava per gli altri, i confini di ognuno sbiaditi nella causa comune. Questo accadde almeno fino all’irruzione della Muti, corpo militare, segugi e torturatori al soldo della Repubblica sociale e degli occupanti nazisti. Cercavano il partigiano giellino Pepp Goisis e il dottor Bucalossi, lui comparso in un elenco dei componenti del CLNAI finito in mano fascista. Passò in clandestinità per un po’, ribattezzato ‘Guido’. Dal 1953 deputato a Roma nelle fila socialiste del PSDI, arrivò dieci anni dopo sullo scranno più alto di palazzo Marino. Il 25 aprile 1965 era a San Vittore, osservava la posa della lastra che commemora le vite mutilate, interrotte dall’oppressione nazifascista, a donare radici e senso del presente.

Silvia Maresca

Localizzazione

Località: Milano
Indirizzo: viale Andrea Doria 15
Comune: Milano
Provincia: Milano (MI)
Regione: Lombardia
Coordinate geografiche: Latitudine 45.48604 – Longitudine 9.21146

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FONTI

Bibliografia
M. Alloisio, G. Beltrami, Volontarie della libertà, Milano, Mazzotta, 1981

D. De Angelis, Pietro Mancini. La spontaneità come pratica, Roma, Gangemi, 2012

 

 

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ALTRE INFORMAZIONI

Data evento: 1943-1945

Cognome Nome: Eugenia Goisis; Tina Goisis; Ginin Goisis; Bice Goisis; Pepp Goisis; Pietro Bucalossi

Formazioni d’appartenenza: Partito d’Azione; Brigate Giustizia e Libertà

Data opera: non determinata

Autore: non conosciuto

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CASA GOISIS A MILANO

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PALAZZO DELLA COMIT, BANCA COMMERCIALE ITALIANA A MILANO

PALAZZO DELLA COMIT, BANCA COMMERCIALE ITALIANA A MILANO

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PALAZZO DELLA COMIT, BANCA COMMERCIALE ITALIANA A MILANO

© Paolobon140 – Questa immagine è protetta da copyright

La Banca commerciale italiana, Comit, ebbe in piazza della Scala a Milano la sua Direzione centrale, nell’edificio progettato dall’architetto Luca Beltrami, ultimato nel 1906. Dalle origini mitteleuropee alla governance di Giuseppe Toeplitz negli anni’20, la Commerciale richiamò menti che brillavano di competenza e iniziativa, cresciute negli studi giuridici ma anche letterari, abili interpreti delle realtà industriali di cui la banca era creditrice. La sua importanza strategica e le attività complesse quanto cruciali per l’economia italiana ne dissuasero il controllo diretto del regime fascista.
Sergio Solmi fu assunto dalla Comit il 14 gennaio 1926. Nella lettera di assunzione compare la raccomandazione di Raffaele Mattioli, che conobbe poco tempo prima a Torino, in un incontro organizzato da Piero Gobetti. Nella casa torinese di via Fabro nacquero molte amicizie intessute di filosofia e poesie quanto di antifascismo, legami sopravvissuti alle aggressioni squadriste che immolarono il corpo del direttore della “Rivoluzione Liberale”. Solmi doveva trasferirsi con sua moglie, Dora Martinet, a Milano, dove inizialmente trovò lavoro in uno studio legale.

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Aveva intrapreso la strada del giurista per bisogni economici, e fu felice di ritrovare appena varcata la soglia e le mura imponenti della Banca commerciale proprio Mattioli, appena insediato alla Comit come segretario del direttore Toeplitz.
Solmi era poeta, scriveva su testate culturali, dai commenti su Leopardi alle critiche positive dell’amico Eugenio Montale, e intanto le sue preziose consulenze che gli valsero la proficua carriera andavano oltre i codici e i numeri, ci mise la sua intuizione e la sua sensibilità, come avrebbe ricordato il suo storico collaboratore Gianfranco Saglio. Mentre Solmi diventava procuratore, nel 1934 all’Ufficio Studi guidato dal filosofo Antonello Gerbi arrivò l’antifascista e futuro fondatore del Partito d’Azione Ugo La Malfa.
Mattioli li invitava tutti nel suo salotto di via Bigli, incrocio notturno di pittori e funzionari di banca, professori e scrittori ribelli, dove La Malfa e i colleghi della Comit incontrarono antifascisti della prima ora, come Adolfo Tino e Ferruccio Parri. Intanto al terzo piano della Comit, in particolare nell’Ufficio Studi, prendeva forma l’attività cospirativa azionista, dove circolavano idee democratiche, socialiste, liberali, in uno spirito solidale e volontà di cambiamento.
Nel 1942 Tino, La Malfa e Mario Vinciguerra misero nero su bianco i sette punti fondativi del Partito d’Azione nel primo numero del giornale di propaganda “Italia libera”, le cui bozze rimasero protette nella cassaforte della Comit per andare in stampa nel gennaio 1943.
Dopo la caduta del regime il 25 luglio Milano venne piegata dai bombardamenti alleati, e l’edificio della Banca Commerciale fu forse l’unico in piazza della Scala a non subire danni. Avrebbe retto nei 45 giorni badogliani, l’allontanamento a Roma di Mattioli e La Malfa dopo l’8 settembre e poi la tenaglia del potere nazifascista.
Tra i funzionari e uomini di riferimento del Partito d’Azione rimase innanzitutto Sergio Solmi, che operava da capo della Sezione consulenza del Servizio contenzioso, poi Ufficio legale.
Nel febbraio 1944, con le prime vittorie e le bande partigiane di Giustizia e libertà che ingrossavano le fila, l’azionista Leo Valiani, impegnato nell’organizzazione e nelle comunicazioni per il PdA, una volta a Milano trovò copertura negli uffici della Commerciale, mentre la città si preparava allo sciopero nazionale del 1 marzo. Avrebbe ricordato Valiani i numerosi appuntamenti di militanti e partigiani al terzo piano della banca, lo scambio di documenti falsi e delle numerose notizie tramite bigliettini di appuntamenti. E Sergio Solmi che presidiava: “tutti facevano capo a lui”.
La base cospirativa rimase nascosta, occultata dietro la solidità istituzionale del suo marmo bianco, superando la lontananza di Mattioli che dirigeva da Roma e agiva nella Resistenza capitolina.
Eppure il 2 gennaio 1945 l’inossidabile Solmi ebbe un primo arresto, che si risolse presto in una fuga da una cella aperta e un corridoio deserto. La seconda volta, tornato a Milano e riconosciuto mentre viaggiava sul tram, fu incarcerato a San Vittore il 6 aprile. Riuscì a non tradire i compagni, nonostante le vessazioni riservate agli oppositori politici. Per lui e per molti altri le porte del carcere si schiusero il 25 aprile, nella Milano liberata.

Silvia Maresca

Localizzazione

Località: Milano
Indirizzo: Piazza della Scala 6
Comune: Milano
Provincia: Milano (MI)
Regione: Lombardia
Coordinate geografiche: Latitudine 45.46755 – Longitudine 9.19138

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FONTI

Bibliografia
Bacchelli, Le notti di via Bigli: quarant’anni di confidenza con Raffaele Mattioli, (a cura di Marco Veglia), Bologna, Il Mulino, 2017

R. Cairoli, D. Migliucci, Comandante Franco : storia di Italo Busetto, partigiano, comunista, sindacalista (1915-1985), Sesto San Giovanni, Archivio del Lavoro, Milano, Fisac Cgil Milano e Lombardia, 2022

Sitografia
(consultata il 25/5/2024)

B. Croce, Ricordo di Leone Ginzburg, articolo pubblicato in «Italia libera», 27 ottobre 1944, fruibile nel portale
patrimonio.archivio.senato.it

G. Montanari, M. L. Cairo (Archivio Storico Intesa Sanpaolo), Carte di Sergio Solmi, capo della Consulenza legale della Comit durante il periodo bellico e nel dopoguerra (1942-1953), pubblicato sul sito www.istoreto.it

Sergio Solmi tra letteratura e banca, saggio pubblicato in «Archivio Storico Intesa Sanpaolo. Monografie», n. 9, 2016. Consultabile sul sito sapegno.it

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ALTRE INFORMAZIONI

Data evento: 1943-1945

Cognome Nome: La Malfa Ugo; Mattioli Raffaele; Sergio Solmi

Formazioni d’appartenenza: Partito d’Azione; Brigate Giustizia e Libertà

Data opera: 1911

Autore: Luca Beltrami (architetto)

contatti

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