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Nella città di Trento, al numero 12 della Galleria dei partigiani, si trova la lapide in ricordo di Giannantonio Manci. Si legge:
“SPQT / Nella tradizione avita / di una libera Italia / Giannantonio Manci / ribelle a dittature / sfidò l’invasore / suggellando con la morte / la fedeltà ai compagni / A ricordo del sacrificio / onore della Resistenza / Il municipio di Trento / 6 luglio 1954”.
Manci era a capo della sezione trentina del Comitato di Liberazione Nazionale (CLN) quando nella notte tra il 27 e il 28 giugno 1944 fu arrestato dalle SS. Un delatore tradì lui e altri compagni di lotta dopo nove mesi di clandestinità, passati in una terra su cui insisteva il dominio diretto del Reich. Il 18 settembre 1943, a dieci giorni dall’armistizio italiano con le forze alleate, le province di Trento, Bolzano e Belluno furono annesse alla Germania nazista nella Operationszone Alpenvorland, di fatto un controllo militare da parte delle forze naziste coadiuvate nelle istituzioni locali dai fascisti della neonata Repubblica sociale.
La lotta clandestina contro occupanti tedeschi e vecchi nemici politici si innestava nella storia delle terre irredente, dalle guerre d’indipendenza ottocentesche arrivando al primo conflitto mondiale, dove la famiglia dei conti Manci si era schierata contro gli austriaci, nel solco del patriottismo democratico di stampo mazziniano.
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Vedeva Giannantonio Manci la Patria come la via per far vivere e difendere i valori di libertà e giustizia sociale, quei principi su cui incardinare l’ordine morale e civile della collettività. Come suo padre, che fu eletto due volte sindaco di Trento ma a cui venne opposto il veto imperiale, come lo zio Filippo nell’esercito dei mille di Garibaldi, anche lui non si risparmiò, rispondendo con l’azione agli eventi del suo tempo.
Durante la Grande Guerra, dopo la disfatta italiana di Caporetto – aveva ancora sedici anni – si arruolò, diventando il più giovane ufficiale del battaglione alpini della Val Brenta. Poi insieme a Gigino Battisti, figlio del patriota risorgimentale Cesare Battisti, si unì all’impresa di Fiume nelle legioni di Gabriele D’Annunzio. Militante nel Partito Repubblicano, in antitesi con l’avanzata del regime fascista in tutti i suoi aspetti, etici, civili, politici, fu nel 1924 tra i fondatori del movimento “Italia Libera”, dove si radunarono quegli ex combattenti che criticavano le posizioni filofasciste dell’ANC (Associazione nazionale combattenti). Si unì presto al movimento di Giustizia e libertà, iniziando così a stabilire contatti con l’antifascismo milanese d’ispirazione repubblicana, socialista e liberale, in particolare a Milano, dove gli spostamenti da Trento alla città meneghina erano giustificati da ragioni professionali. Dopo la promulgazione delle leggi eccezionali, tra il 1926 e il ‘27 Giannantonio Manci aiutò molti sodali e oppositori politici nelle fughe d’oltralpe, scampando più volte all’arresto, ma attenzionato dalla Commissione provinciale per il confino di Trento.
Con l’entrata in guerra dell’Italia e la previsione del precipitare degli eventi, Giannantonio Manci iniziò a organizzare i primi nuclei di gruppi partigiani trentini. Rinsaldò i legami con la rete antifascista milanese che nel 1942 si sarebbe unita nel Partito d’Azione e con uomini come Oreste Ferrari, trentino, impiegato nell’Ufficio studi della Banca commerciale di Mattioli, luogo strategico per la futura lotta clandestina.
Manci moltiplicò gli sforzi nell’operazione politica di unire tutte le forze democratiche trentine, per fare fronte comune tra le anime socialiste e repubblicane nel CLN locale, in una visione ampia e programmatica che andava oltre la guerra e che stilò in quello che divenne il suo testamento politico: si parla nel Manifesto per i trentini di Patria e Umanità, dell’istituzione di una Repubblica democratica e del Federalismo europeo, di socializzazione della produzione e libertà, dove ciascun elemento è indispensabile, e non può vivere senza l’altro. L’azione febbrile di quel periodo andava dalla politica organizzativa e alle questioni militari, un impegno che lo distolse quasi completamente dal lavoro e dalla sua famiglia, la moglie Giulia Sardagna e le figlie Giulia, Annamaria e Giovanna.
La notte del 27 giugno 1944 la Gestapo fece numerosi arresti, e tra i nomi fatti dal delatore vi era quello del capo del CLN trentino. Manci venne portato via dalla casa di Mesiano, insieme al nipote Massimiliano Ierace, nella villa occupata dalla Gestapo a Trento, per poi essere trasferito a Bolzano, nella sede dell’ex comando del corpo d’armata. Lì rivide il compagno socialista Giuseppe Ferrandi, cui donò le poche parole, lasciate al mondo: “Ora e per sempre”, e “Internazionale futura umanità”. Alla prima notte di interrogatori, serrati e inconcludenti, seguirono sette giorni di sevizie e torture, che non valsero la pronuncia di un solo nome dei compagni di lotta. Il 6 luglio 1944 Giannantonio Manci avrebbe subito altre torture, non nei sotterranei, ma in un ufficio del terzo piano. Attendeva seduto con l’interprete, che si assentò per pochi secondi, che una volta tornato vide l’ex prigioniero oltre la finestra della stanza, lasciarsi cadere.
I suoi cari, gli amici, le persone che aveva salvato ne avrebbero lasciato memoria, in cerimonie e testimonianze. Il futuro per cui aveva vissuto, la Repubblica italiana, riconobbe uno dei suoi padri. La medaglia d’oro al valor militare a memoria della sua missione.
Silvia Maresca
Localizzazione
Indirizzo: Galleria dei partigiani, 12
Comune: Trento
Provincia: Trento (TN)
Regione: Trentino Alto Adige
Coordinate geografiche: Latitudine 46.06962 – Longitudine 11.12391
FONTI
Bibliografia
Giannantonio Manci 1944-1994, a cura di Vincenzo Calì, Trento, Temi, 1994
ALTRE INFORMAZIONI
Data evento: 6/7/1944
Cognome Nome: Manci Giannantonio
Formazioni d’appartenenza: Partito Repubblicano Italiano, Movimento socialista trentino, CLN del Trentino, Brigata Cesare Battisti
Data opera: non conosciuta. Data celebrativa 6/7/1954
Autore: non conosciuto. Opera commissionata dal Comune di Trento
contatti
LAPIDE COMMEMORATIVA DI GIANNANTONIO MANCI A TRENTO
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