Primavera 1944. Italia settentrionale. Con l’arrivo della bella stagione, le formazioni partigiane recuperano le forze dopo un inverno particolarmente duro. I mesi passati tra il freddo delle montagne, i rastrellamenti nazifascisti e la scarsità di risorse sembrano essere un ricordo lontano. Eppure nelle esperienze ricavate dalla stagione fredda – caratterizzate da sconfitte, sofferenze e qualche piccola vittoria – quanti tra i partigiani sono sopravvissuti al periodo invernale possono definirsi veterani. I combattenti semplici, i loro comandanti, i dirigenti dei vari Comitati di Liberazione Nazionale – CLN, hanno imparato a fare la guerriglia sperimentando successi ed errori nel contesto della guerra di liberazione dall’occupante tedesco e della guerra civile contro i fascisti di Salò.
In quello che è un periodo di rinvigorimento per la Resistenza una serie di cause conduce le formazioni partigiane ad ingrossarsi, ad attirare cioè nuovi individui – alcuni guidati dalle loro idee, altri dalla necessità o dal caso – nelle bande armate.
Leggi di più
In quello che è un periodo di rinvigorimento per la Resistenza una serie di cause conduce le formazioni partigiane ad ingrossarsi, ad attirare cioè nuovi individui – alcuni guidati dalle loro idee, altri dalla necessità o dal caso – nelle bande armate. Le motivazioni sono varie: molti giovani raggiungono le formazioni partigiane per sfuggire al reclutamento nelle forze della Repubblica Sociale Italiana – RSI, comandato dai Bandi Graziani. Inoltre il clima più mite favorisce l’afflusso alle montagne, alimentato anche dagli svolgimenti di quella che viene definita “guerra grossa”: i successi alleati galvanizzano i vari movimenti che lottano contro le forze tedesche nell’Europa occupata. L’esercito nazista è in difficolta su diversi fronti e il mese di giugno, con i suoi avvenimenti, sembra lasciar intravedere la fine della guerra. Per quanto riguarda il fronte occidentale il 4 giugno gli alleati liberano Roma, capitale di una delle potenze dell’Asse, mentre il 6 giugno l’operazione Overlord – lo sbarco in Normandia – apre il fronte che punta dritto al cuore della Germania passando per la Francia. Sul fronte est l’Armata rossa dà il via, il 22 giugno, all’operazione Bagration nella Polonia orientale e in Bielorussia: l’operazione si conclude con l’annientamento del Gruppo d’armate Centro tedesco.
Per quanto il fronte italiano abbia ormai perso la sua importanza per gli alleati nello scenario bellico, i combattimenti sulla penisola non sono terminati: le forze tedesche si schierano in difesa, rinforzando i punti del fronte ritenuti più vulnerabili alle future offensive: gli alleati attaccheranno la linea Gotica pochi mesi più tardi, nel settembre del 1944. A corto di uomini e sempre più in carenza di risorse, l’esercito di Hitler lascia il controllo delle retrovie alle forze della RSI: saranno principalmente queste ad occuparsi di contrastare le formazioni partigiane stanziate tra i monti e le valli dell’Italia settentrionale. Con l’intensificarsi delle imboscate, degli attentati alle vie di comunicazione e degli assalti alle caserme per mano partigiana, molti presidi nazifascisti stanziati lontano dai grandi centri urbani e sparsi tra le vallate, vengono progressivamente abbandonati dalle forze tedesche e fasciste. Si avvia in questo contesto quella che verrà poi definita “La grande estate partigiana” ovvero un periodo di grande aggressività ed espansione per le forze della Resistenza.
È in questo periodo che si presenta l’occasione per i comandi partigiani di agire in modo differente: se la guerriglia aveva sino ad allora operato secondo la tattica del “mordi e fuggi” – ossia attaccare e disimpegnarsi da qualunque battaglia di tipo statico contro tedeschi e fascisti – ora le circostanze consentivano un nuovo modo di agire. Era possibile cioè pensare di prendere il controllo di intere zone, sottraendole integralmente al controllo dei soldati tedeschi o dei militi della Repubblica sociale. Tra i mesi di giugno e luglio il Comitato di liberazione nazionale Alta Italia e il Corpo volontari della libertà – CVL (l’organismo avente il compito di coordinare gli sforzi militari della Resistenza), diramano una serie di documenti in cui istruiscono i comandi delle varie formazioni partigiane nell’eventualità che una zona fosse stata sgomberata dalla presenza nazifascista.
Sorgono così, tra l’estate e l’autunno, quelle che prendono il nome di “Zone libere”, ossia aree sottoposte al controllo partigiano. Queste zone possono essere liberate dal controllo nazifascista secondo modalità differenti: a volte esse vengono abbandonate dalle forze di occupazione poiché il loro mantenimento non è giudicato funzionale agli sforzi del Reich tedesco; in altri casi vengono conquistate attraverso le azioni militari dei partigiani che in questo modo “scacciano” il nemico, in altre ancora i territori vengono sgomberati da fascisti e tedeschi in seguito ad accordi intercorsi tra i comandi tedesco-fascisti ed i rappresentanti partigiani. Può accadere che un territorio venga liberato con il concorso di queste dinamiche, come accadde ad esempio per quella che sarà nota poi come Repubblica partigiana dell’Ossola, caso in cui si verificano tutte e tre le ipotesi sopra menzionate.
Occorre però fare delle distinzioni tra Zone libere e Repubbliche partigiane per evitare sovrapposizioni non corrette: in generale per lo storico Santo Peli, che a lungo si è occupato di questi temi, per zone libere si intendono quelle porzioni di territorio la cui liberazione è frutto di un piano teorizzato ed applicato e non figlia del caso.
In ogni caso quando parliamo di zone libere dobbiamo partire dal presupposto che queste sono molto differenti tra loro, tanto in termini geografici – vallate, zone collinari -, di numeri – grandezza dei territori, numero di abitanti -, quanto in termini di natura delle formazioni partigiane esistenti dentro i confini di esse – garibaldini, autonomi, cattolici, azionisti, etc. La differenza principale che consente di distinguere tra una “zona libera” e quelle che, a posteriori, vengono definite “repubbliche partigiane” risiede in diversi fattori, anche se non esistono schemi d’interpretazione troppo rigidi: la durata di questi esperimenti di liberazione nel tempo, la presenza di organi che si propongono di amministrare la vita al loro interno e la strutturazione delle misure stesse di organizzazione. Per fare un esempio nel riferirsi ad una zona magari di piccole dimensioni, di breve durata nel tempo, semplicemente popolata da forze armate partigiane ma non particolarmente amministrata, può essere definita semplicemente “zona libera”; se invece magari ci riferiamo ad un territorio vasto, caratterizzato dalla presenza di molti residenti, rimasto libero per un lasso di tempo sufficiente a creare degli organi di autogoverno capaci di amministrare la vita nell’area attraverso interventi più o meno complessi, allora probabilmente possiamo parlare di “Repubblica partigiana”.
L’esperienza delle zone libere e delle repubbliche partigiane si può dividere in due fasi. Una prima di queste è rintracciabile tra il giugno ed il luglio del 1944, quando sono in molti a ritenere che la guerra possa giungere al suo epilogo nel giro di breve tempo. In questo periodo i territori liberati dalla presenza nazifascista sono localizzati in alcune vallate piemontesi, come la Valsesia e la Val Maira, altri si trovano tra l’oltrepò pavese ed il modenese e nell’area dell’appennino tosco-emiliano. La seconda fase è ascrivibile invece al periodo di tempo compreso tra il settembre ed il novembre del 1944 e riguarda porzioni di territorio piemontese – Alto Monferrato, Langhe e valle dell’Ossola – la regione della Carnia e nuovamente alcune aree dell’appennino tosco-emiliano. Le regioni coinvolte dal fenomeno delle zone libere sono pertanto Emilia Romagna, Friuli Venezia Giulia, Liguria, Lombardia, Piemonte ed Umbria.
Tra la tarda primavera del 1944 e l’autunno del 1944 nell’Italia occupata si trovano dunque ad esistere circa una ventina tra zone libere e repubbliche partigiane, ognuna dotata delle proprie peculiarità, alcune strutturate e “governate”, altre semplicemente liberate dal nemico nazifascista. Alcune durano pochi giorni, altre resistono per settimane; alcune sono minuscole, altre si estendono per centinaia di chilometri quadrati. Ciò che le accomuna, senza voler troppo generalizzare, è che in un periodo di tempo – più o meno breve – le forze della Resistenza hanno la possibilità di prendere in mano la gestione civile e politica dei territori liberati.
Tra le repubbliche partigiane più celebri rientrano i casi delle Langhe, dell’Alto Monferrato, di Montefiorino, dell’Ossola e della Carnia.
Le ultime tre in particolare conquistano un posto di rilievo nella storia della Resistenza. Si tratta di “repubbliche partigiane” che hanno vita in momenti differenti, tra l’estate e l’autunno inoltrato del ‘44, caratterizzate dalla vastità delle aree liberate e da una strutturazione anche complessa, capace di dimostrare agli occhi del mondo libero che le forze partigiane guidate dal CLN sono in grado di liberare ampie porzioni del proprio territorio nazionale e di instaurare delle forme di autogoverno orientate a soddisfare i bisogni della popolazione e caratterizzate – particolarmente in Carnia ed in Ossola – da una libertà di partecipazione sconosciuta nel paese durante il ventennio fascista.
Per dare un’idea basta indicare le grandezze dei tre casi. La “Repubblica di Montefiorino” occupa una superficie di 1.000 km2, racchiudendo al suo interno circa 50.000 persone. La “Libera Repubblica partigiana di Carnia” si estende per circa 2.500 km2, comprendendo al proprio interno 38 comuni e 90.000 individui. La “Repubblica partigiana dell’Ossola” è caratterizzata da 1.200 km2, una trentina di comuni e la presenza di 75-80.000 persone. Al netto di quelli che sono i numeri, questi casi passano divengono famosi per gli sforzi compiuti dagli organi di autogoverno che si assumono il compito di amministrare la vita all’interno dei territori: in Carnia ed in Ossola ben emerge la volontà di agire in modo democratico anche attraverso l’ideazione di riforme moderne che finiscono per conferire alle esperienze un grande valore morale.
Eppure, se la liberazione dei territori assume in principio molteplici significati positivi per la Resistenza, ben presto la questione della gestione delle zone libere mette in evidenza tutte le difficoltà che la pratica porta con sé. I problemi sono molteplici: le zone libere sono “isole” in un’Italia occupata dalle forze armate tedesche ed in quanto tali sono impossibilitate a ricevere dall’esterno le risorse di cui la popolazione necessita per la sua sussistenza. Il venire meno degli organi amministrativi esistenti sotto il fascismo fa poi in modo che l’intero peso della gestione diventi responsabilità degli organi di autogoverno partigiani o dei comandi militari. Le zone libere infatti differiscono anche per quanto riguarda chi si trova nella posizione di “amministrarle”, chi insomma all’interno di esse detiene il comando: in alcuni casi si hanno dei comandi militari partigiani di un determinata corrente politica, in altri delle vere e proprie giunte composte dai rappresentanti dei vari partiti del CLN, nominate per l’occasione. Nei casi in cui le zone libere hanno la possibilità di strutturarsi in maniera più complessa gli organi deputati all’attività amministrativa emanano provvedimenti specifici tesi a soddisfare i bisogni primari degli abitanti, anche se nella pratica molte misure si rivelano insufficienti.
Un altro fattore di rischio non indifferente è dato dalla coesistenza forzata, all’interno delle zone libere, di formazioni partigiane di differente colore politico. Per quanto esistano zone libere dove la collaborazione – ad esempio – tra comandi partigiani garibaldini e autonomi, effettivamente funzioni, in altri casi i dissapori sfociano in litigi aspri. Questo ultimo aspetto non solo finisce per rendere ancora più difficile la gestione da parte degli organi di autogoverno nominati dal CLN, ma mina fortemente le già scarse possibilità delle zone libere di difendersi dalle certe offensive nazifasciste volte a riprendere possesso dei territori persi: forze non coese, comandi litigiosi e che non si fidano gli uni degli altri finiscono per essere prede più facili di un nemico ben organizzato ed armato. È sempre bene specificare che la questione dei contrasti in seno alla Resistenza italiana non caratterizza esclusivamente l’esistenza delle zone libere ma è ascrivibile all’intero biennio 1943-1945.
Un altro problema non indifferente è dato da i rapporti tra le forze della resistenza e le popolazioni all’interno dei territori liberati. Persone comuni e partigiani si trovano a dover convivere all’interno di un contesto segnato tanto dalla scarsa politicizzazione quanto dalla penuria di beni materiali. Le requisizioni operate dai partigiani spesso provocano le proteste della gente locale, quale si trova a dover condividere le proprie risorse con i guerriglieri, ormai impiantati stabilmente nei luoghi liberati. I comandi partigiani spesso infliggono punizioni – anche severe – a coloro che, tra i combattenti della Resistenza, praticano ruberie o arrecano disturbo alla popolazione.
Nonostante le questioni di ordine pratico e i problemi che esse comportano, le esperienze che caratterizzano le zone libere finiscono per assumere un grande valore sotto il punto di vista morale. All’interno di queste “isole in mezzo alla tempesta” si riscoprono le logiche che stanno alla base della democrazia: la popolazione, i membri delle giunte popolari, dei CLN locali e i partigiani hanno la possibilità di discutere, di esprimere il proprio parere e di fornire le loro opinioni in merito alle questioni più varie. Dopo un ventennio di oppressione, di costrizioni, le parole della politica tornano ad essere pronunciate – spesso in modo acerbo – senza il timore delle ritorsioni, del carcere e del confino. Fioriscono i giornali, i fogli di partito, la gente ha la fame del discutere, quasi un’ubriacatura data dall’improvvisa ed inaspettata libertà che le zone controllate dai partigiani significano.
Accanto a questa ripresa della parola dal basso, nei casi di zone libere più strutturate, gli organi di autogoverno partigiano si adoperano per emanare provvedimenti che riguardano aspetti civili e politici della vita di tutti i giorni. Tra la Carnia e l’Ossola trovano spazio il voto popolare nelle elezioni locali, l’istituzione di corpi di polizia volti a mantenere l’ordine contro eventuali prepotenze partigiane, l’abolizione della pena di morte e vengono addirittura teorizzati piani per riformare il sistema scolastico. Si tratta perlopiù di sperimentazioni, molte delle quali rimaste nei verbali delle giunte locali, che tuttavia forniscono un’idea di quanto alcuni di quei tentativi fossero volti a prefigurare l’Italia del futuro. È corretto specificare tuttavia che le aspirazioni riformiste caratterizzano i dirigenti antifascisti, i “cervelli” della Resistenza e non i partigiani o la popolazione, spesso totalmente digiuni da qualsiasi ideologia politica definita. Le forze che nelle zone libere individuano degli eccezionali laboratori per cercare di alfabetizzare politicamente gli italiani sono il Partito Comunista ed il Partito d’Azione: per essi le zone libere rappresentano la possibilità di sperimentare nuovi rapporti di forza con le masse, di attivare gli italiani, di “educarli” a pensare oltre il fascismo. Per chi ha una formazione politica alla spalle le zone libere rappresentano dunque un luogo entro il quale sperimentare le modalità di autogoverno, ma soprattutto un luogo in cui stimolare la partecipazione in una popolazione disabituata – dopo vent’anni di dittatura – ad interessarsi della sfera politica.
Al netto delle questioni di ordine pratico riguardanti l’amministrazione o delle aspirazioni riformiste quello che appare chiaro a molti – con il progredire della “guerra grossa” – è che i nazifascisti sono intenzionati a stroncare l’esperienza delle zone libere e a riprendere il controllo dei territori. Per quanto il Comitato di Liberazione Nazionale ed il Corpo Volontari della Libertà si sforzino per istruire i comandi partigiani della necessità, dopo la liberazione delle zone, di estendere la lotta, di puntare alla liberazione dell’intera Italia settentrionale dai nazifascisti, i partigiani finiscono generalmente per chiudersi all’interno di esse in una sorta di attesa. Gli organi di amministrazione, spesso impegnati ad emanare provvedimenti per la sopravvivenza della popolazione o a teorizzare riforme, possono solamente tentare di organizzare le forze partigiane al loro interno per difendersi dalle offensive nemiche.
L’epilogo è il medesimo per tutte le zone libere e le repubbliche partigiane, le quali vengono spazzate via dagli attacchi tedeschi e fascisti compiuti tra l’estate e il tardo autunno del 1944. Le formazioni partigiane incaricate di difendere i confini delle zone libere sono segnate dalla scarsità di risorse – armamenti pesanti, munizionamento, vestiario e viveri – ed inoltre non possiedono l’addestramento necessario per sostenere l’urto di una forza organizzata come quella tedesca. Nel contesto delle zone libere le formazioni irregolari partigiane perdono la loro principale caratteristica, ovvero l’estrema mobilità che le caratterizza. Il partigiano, per sua natura abituato a condurre una guerriglia fatta di attacchi a cui seguono rapide fughe, non ha alcuna possibilità di resistere staticamente contro l’azione coordinata di un esercito regolare. La volontà di difendere i confini delle zone libere, la creazione di postazioni fisse, di trincee e di linee rigide è un qualcosa di estremamente innaturale per i piccoli eserciti partigiani.
Alle porte dell’inverno del 1944 le zone libere sono ormai dissolte. La caduta di questi esperimenti – più o meno complessi – di democrazia ha immediatamente delle ripercussioni. Il ritorno dei tedeschi e dei fascisti si traduce in nuovi patimenti per le popolazioni che finiscono per valutare in modo perlopiù negativo l’eperienza delle zone libere. In molti tra partigiani ed i loro comandanti si trovano a dover sostenere un nuovo gelido inverno sulle montagne, scoraggiati e disillusi per una liberazione ed una fine della guerra che sembravano terribilmente a portata di mano. Nonostante dal punto di vista strettamente militare la questione delle zone libere si traduca nei fatti in una sconfitta, il valore di esse dal punto di vista strategico e morale è considerevole. La liberazione dei territori per mano partigiana, la loro gestione da parte di dirigenti antifascisti ed i provvedimenti democratici attuati concorrono a dimostrare che gli italiani hanno il desiderio e le capacità di superare il fascismo.Gli alleati si trovano dinnanzi ad un fatto evidente: una classe dirigente alternativa al fascismo esiste ed è disponibile ad assumersi la responsabilità di ricondurre l’Italia nel novero delle nazioni democratiche.
Luca Zanotta
REPUBBLICA PARTIGIANA DI MONTEFIORINO
ANNIVERSARI 1944 | MAPPA | INFO & CONTATTI© Redazione - Questa immagine è protetta da copyrightNella rocca medievale del comune di Montefiorino, in provincia di Modena, trova spazio il Museo della Repubblica di Montefiorino e della Resistenza...
REPUBBLICA PARTIGIANA DELL’OSSOLA
ANNIVERSARI 1944 | MAPPA | INFO & CONTATTI© Redazione - Questa immagine è protetta da copyrightAll’interno del Palazzo di Città a Domodossola, in piazza Repubblica dell’Ossola 1, una sala allestita in modo permanente ricorda le vicende della...
DIPARTIMENTO PARTIGIANO DEL CORNIOLO
ANNIVERSARI 1944 | MAPPA | INFO & CONTATTI© Redazione - Questa immagine è protetta da copyrightNella zona dell’Appennino forlivese, all’interno del territorio del comune di Santa Sofia, si trova Palazzo Zanetti. La struttura, appartenente ai...
STRADA INTITOLATA A GIORGIO ELTER AD AOSTA
ANNIVERSARI 1944 | MAPPA | INFO & CONTATTI© Redazione - Questa immagine è protetta da copyrightGiorgio Elter nacque a Cogne (Aosta) il 29 febbraio 1924, in una famiglia di convinti e ferventi antifascisti. Il padre Franz Elter (1893-1959), nato a...
LAPIDE IN MEMORIA DI GIUSEPPE ALBERGANTI A MILANO
ELENCO TAPPE | MAPPA | INFO & CONTATTI© Redazione - Questa immagine è protetta da copyrightNel cortile interno dell’ingresso al civico 4 di via Mottarone si trova una lapide in memoria di Giuseppe Alberganti, figura che legò intensamente la...
LASTRA IN RICORDO DI LORIS DELL’ORTO A MILANO
ELENCO TAPPE | MAPPA | INFO & CONTATTI© Redazione - Questa immagine è protetta da copyrightLa lastra, di formato quadrato e realizzata in marmo grigio chiaro, tendente al bianco, reca l’iscrizione a lettere capitali “IN QUESTA CASA ABITÒ / IL...
FONTI
Bibliografia
A. Aniasi, Ne valeva la pena: dalla Repubblica dell’Ossola alla Costituzione italiana, Italia, M & B Publishing, 1997
G. Quazza, Resistenza e Storia d’Italia. Problemi e ipotesi di ricerca, Feltrinelli, 1976
M. Flores, M. Franzinelli, Storia della Resistenza, Laterza, 2019
S. Peli, La necessità, il caso, l’utopia. Saggi sulla guerra partigiana e dintorni, BFS edizioni, 2022
S. Peli, Storia della Resistenza in Italia, Einaudi, 2005
«Il paradosso dello Stato nello Stato». Realtà e rappresentazione delle zone libere partigiane in Emilia Romagna, a cura di R. Mira e T. Rovatti, in «E-review Dossier», 3, 2015
Sitografia
M. Carrattieri, La cartografia delle “repubbliche partigiane” nella storiografia sulla resistenza italiana, saggio pubblicato sul sito e-review.it, consultato il 21/6/2025
La storia della zona libera della Carnia e dell’Alto Friuli, articolo pubblicato sul sito repubblicadellacarnia1944.uniud.it, consultato il 21/6/2025
P. Bologna, La “repubblica” dell’Ossola, saggio pubblicato sul sito archivio.casadellaresistenza.it, consultato il consultato il 20/6/2025
R. Mira, T. Rovatti, Un crocevia di problemi. Intervista a Santo Peli sulle zone libere nella Resistenza, pubblicata sul sito e-review.it, consultato il 24/6/2025
LA REPUBBLICA, LA STORIA, scheda pubblicata sul sito resistenzamontefiorino.it, consultato il 21/6/2025
contatti
LE REPUBBLICHE PARTIGIANE
Servizio aggiornamento schede
Stai consultando l'archivio "Terra di Memorie" e hai trovato un'informazione non corretta? Ti sei accorto di un dettaglio non evidenziato? Desideri aggiungere una fotografia ad una scheda?
Il nostro staff mette a disposizione degli utenti del sito un apposito indirizzo di posta per gli aggiornamenti: redazione@terradimemorie.it
Si prega di inviare una mail indicando le modifiche che si ritiene necessarie e il nostro staff provvederà a verificare l'indicazione al più presto possibile.





