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LA STAMPA CLANDESTINA
Nell’estate del 1943 il consenso al Regime fascista è ormai minimo. Tre anni di guerra, contrassegnati da pesanti sconfitte sul campo per l’esercito italiano, si sono accompagnati alle distruzioni causate dalle bombe alleate e dalla scarsità di beni di prima necessità. Negli stabilimenti industriali, duramente colpiti dall’aviazione alleata, gli scioperi del marzo 1943 hanno certificato l’ormai insanabile frattura tra la classe operaia e il regime. L’operazione “Husky”, l’invasione alleata della Sicilia nel luglio dello stesso anno, concorre a decretare la fine del fascismo mussoliniano. Il re Vittorio Emanuele III è sempre più intenzionato a separare il destino della Monarchia da quello del Fascismo che egli stesso aveva avallato. Il 25 luglio il Gran Consiglio del Fascismo destituisce Benito Mussolini. Da quel momento l’Italia entra in una condizione bizzarra, segnata dall’ambiguità, una sorta di limbo che, nel settembre successivo, si trasformerà nell’inferno della Guerra civile e della Guerra di Liberazione.
In un clima del genere, segnato dal crollo delle certezze, i partiti che il fascismo aveva a suo tempo messo fuorilegge, scorgono – Partito Comunista e Partito d’Azione in primis –  la possibilità della riscossa.
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Eppure, a parte una davvero esigua minoranza politicamente consapevole, la maggior parte degli italiani è priva di interesse – e di metodo – per anche solo avvicinarsi alle “questioni politiche”. È necessario parlare agli italiani, attivare il loro interesse, renderli insomma partecipi del destino del proprio paese e dei guasti che hanno condotto alla situazione attuale. Lo strumento migliore per comunicare alle masse è rappresentato dal materiale stampato clandestinamente.

In quelli che passano alla storia come “i quarantacinque giorni” – dal 25 luglio all’8 settembre 1943 – l’Italia è retta dal Governo Badoglio I. Il paese continua a rimanere in guerra a fianco della Germania e non vi è libertà di stampa o di associazione politica. Tuttavia i partiti si organizzano ed in quel periodo cominciano a circolare, pur essendo teoricamente illegali, le prime pubblicazioni antifasciste: a Milano «L’Unità», famosissima testata comunista, riesce a dare alle stampe ben 5 numeri. 

Questo aspetto, inerente ad una pubblicazione legata ad un’ideologia politica precisa, mette in luce una delle caratteristiche della stampa resistenziale, ovvero il diverso grado di preparazione con cui i diversi partiti antifascisti giungono all’estate-autunno del 1943: alcuni, come il Partito Comunista appena citato, hanno già delle “basi”: una struttura clandestina ed un bagaglio di esperienze che li rende più preparati di altri, anche nella produzione e nella distribuzione di materiale a stampa clandestino, cosa che ad esempio inizialmente non vale per i socialisti.

In ogni caso è con il settembre del 1943 e l’inizio della stagione resistenziale – il biennio 1943-45 – che la stampa di materiale clandestino conosce la sua massima espansione. Ma cosa si intende dunque per stampa clandestina? Ad essa ci si può riferire non esclusivamente quando si parla di materiale stampato: possiamo considerare “stampa clandestina” anche il materiale ciclostilato, dattiloscritto, perfino scritto a mano, redatto da quei gruppi che, dopo la “ricostituzione” del Fascismo con la Repubblica Sociale Italiana – RSI, vengono giudicati illegali. Pertanto il cartacei di questo tipo, prodotti e diffusi in vari formati dai partiti del Comitato di Liberazione Nazionale, dalle formazioni armate partigiane – collegate ad esso oppure indipendenti -, dalle organizzazioni di massa ma anche di gruppi minori di incerta collocazione, rientrano nella categoria. È bene specificare che non si tratta di una classificazione rigida ma che può essere adottata o meno a seconda degli aspetti che si vogliono studiare/approfondire, seguendo certo dei criteri logici.

Ebbene nei diciotto mesi che scandiscono la storia della Resistenza italiana, un enorme mole di materiale inseribile nella categoria di “stampa clandestina” viene prodotto e diffuso nell’Italia occupata dalle forze armate tedesche, il teatro dello scontro tra il Movimento di Liberazione e le truppe nazifasciste. Sono centinaia di migliaia le pagine di varia forma e natura – giornali, opuscoli, riviste e volantini – che si trovano a circolare tra le valli ed i grandi centri urbani dell’Italia settentrionale.

Il primo grande scoglio per cercare di comprendere i numeri reali di queste pubblicazioni, risiede nel contesto in cui esse sono state create. Il materiale a stampa clandestina è pensato per propagandare idee considerate fuorilegge dal potere dominante, pertanto si tratta di materiale pericoloso per chi lo detiene. Per questo motivo grande parte di esso viene distrutta dopo aver svolto la sua funzione, per evitare che il lettore/detentore possa passare dei guai. Inoltre, durante le grandi operazioni di rastrellamento antipartigiano, la distruzione dei documenti da parte dei partigiani stessi e dei comandi militari è prassi comune: il nemico deve avere meno informazioni possibili.

Daria Gabusi, nel suo saggio La stampa della Resistenza (2006) – fonte fondamentale per la redazione di questo testo insieme ai lavori di Laura Conti – individua tre distinte fasi nella diffusione del materiale clandestino, sia esso di informazione o di propaganda. Il primo periodo viene fatto risalire tra l’annuncio dell’armistizio, l’8 settembre 1943, ed il dicembre successivo. Il secondo è individuato tra il settembre e l’ottobre dell’anno dopo, il 1944, ed il terzo invece coincide con la stagione della liberazione, nella primavera del 1945. Ciò che suggerisce questa periodizzazione è che la stampa clandestina vada di pari passo con il maggior vigore dell’azione partigiana, per poi ridimensionarsi nei momenti difficili, caratterizzati dai grandi rastrellamenti nazifascisti e dalle stagioni fredde, naturali momenti di ripiego della combattività delle formazioni irregolari.

Per quanto riguarda una geografia della stampa clandestina, questa va ricercata nel particolare contesto dell’Italia tra il 1943 ed il 1945. La maggior parte del materiale circola nell’Italia occupata del Centro-Nord. Non mancano affatto pubblicazioni prodotte nell’Italia già liberata dagli alleati, anche se il protrarsi della guerra consente ai partiti ed alle formazioni militari partigiane uno sviluppo ed una diffusione più strutturata della stampa nella parte superiore della penisola. Accanto a ciò occorre specificare che, nell’Italia sotto il controllo angolamericano, le pubblicazioni che possono circolare sono quelle ben viste dal Comando alleato, in particolare per quanto riguarda i giornali.

Volendo interrogarsi sui numeri che caratterizzano il materiale stampato clandestinamente, i centri più produttivi sono le città: nei grandi centri urbani le tirature sono molto alte e possono arrivare ad aggirarsi anche sulle ventimila copie per una singola edizione. Il materiale stampato in città è pensato per essere diffuso all’interno di essa ma anche per essere portato al di fuori della cerchia cittadina e distribuito nelle aree limitrofe; un maggior numero di copie significa una maggior distribuzione sul territorio. Per quanto riguarda il trasporto del materiale stampato, il compito spetta alle staffette – figure chiave della Resistenza – le quali portano plichi di cartaceo nei centri dove questo viene smistato e preparato per la distribuzione: essere fermati da una pattuglia o da un posto di blocco tedesco/fascista con del materiale di propaganda conduce al fermo, agli interrogatori, non raramente alle torture, alla deportazione, alla morte.

La grande diffusione della stampa clandestina durante la Resistenza testimonia non solo il notevole sforzo riposto dai partiti nella causa della liberazione ma una più generale partecipazione civile: al netto di coloro che sono attivamente impegnati nel Movimento di Liberazione – dai dirigenti ai partigiani, arrivando infine ai semplici sostenitori – la curiosità per un’informazione “altra”, cioè non caratterizzata dalla retorica fascista, si diffonde.

Se si volessero sinteticamente indicare le motivazioni o gli obiettivi che spingono alla creazione ed alla diffusione della stampa clandestina si potrebbe dire che essi variano a seconda delle linee che caratterizzano i singoli partiti, ma che hanno, al contempo, degli aspetti in comune. Vi sono realtà come il Partito Comunista, il Partito d’Azione, che vedono nella stampa la possibilità di attivare e coinvolgere le masse: ecco dunque che un giornale od un opuscolo possono essere utilizzati per spiegare quelle che sono le ragioni della lotta contro l’occupante tedesco ed fascismo saloino, le tappe storiche che hanno condotto il Fascismo a prendere il sopravvento in Italia, od ancora gli obiettivi a cui si dovrebbe puntare una volta sconfitto definitivamente il nazifascismo.

Eppure è bene specificare che i limiti incontrati sulla strada di questo “dialogo con le masse” sono tanti. In primis non è per nulla scontato che siano note le tecniche di redazione necessarie, ad esempio, a stampare un giornale: è fondamentale scoprire o riscoprire come si fa il giornalismo poiché, per quasi vent’anni, le uniche voci cartacee consentite sono quelle vagliate ed indirizzate dal fascismo. Inoltre l’opera di stampa è di per sé complessa: non tutti i partiti nelle loro ramificazioni locali possiedono il materiale necessario, dall’inchiostro ai macchinari, tantomeno le formazioni partigiane. Sono gli organi di partito a poter contare solitamente su stamperie adeguate, mentre più generalmente le attività di questo tipo sono guidate dalla precarietà e dal coraggio – o dall’ingegno – dei singoli gruppi o individui. Anche in questo caso emerge ben presto la differenza di organizzazione che caratterizza i diversi partiti, tra i quali i più strutturati nel campo della produzione e diffusione di materiale clandestino si rivelano essere PCI, Pd’A ed anche PSIUP, ovvero il Partito Socialista di Unità Proletaria. 

Inoltre il procedimento stesso è rischioso ed i vari protagonisti lavorano con il tangibile rischio di essere individuati ed incarcerati. Sono diversi i nomi di antifascisti attivi nella filiera della redazione di stampa clandestina che pagano con la vita il loro operato; essi spaziano dai “tecnici” ai redattori, dalle staffette ai distributori del materiale. Tra i nomi dei caduti più noti figurano quelli di Eugenio Curiel – intellettuale con un ruolo dirigenziale nelle pubblicazioni comuniste «L’Unità» e «Nostra lotta»; Carlo Bianchi e Teresio Olivelli – fondatori de «Il Ribelle», di ispirazione cattolica; Leone Ginzburg, direttore di «Italia Libera» del Pd’A; Eugenio Colorni, tra coloro che scrissero il «Manifesto di Ventotene» e, durante la Resistenza, redattore capo del quotidiano del Partito socialista «Avanti!».

Occorre a questo punto una distinzione, volendo approfondire il discorso, in merito alle varie tipologie di materiale stampato in clandestinità. È possibile utilizzare una divisione in tal senso che rispecchia le peculiarità della Resistenza, vissuta e combattuta in contesto urbano o sulle montagne.  

Da un lato – in città – abbiamo appunto una diffusione della stampa dei partiti del Comitato di Liberazione. Questa si caratterizza per la sua volontà di influenzare ed orientare l’opinione pubblica, pertanto assume una valenza generalmente più politica. Questo non significa che la stampa clandestina in città parli esclusivamente di questioni complesse – e non sia mirata anche ad “agitare” – ma che, tra le sue pubblicazioni, ci sia una certa varietà. Pertanto accanto ai periodici ufficiali compaiono tanto riviste che trattano temi specifici – pensate per minoranze che “masticano” il linguaggio politico – quanto edizioni rivolte a categorie di pubblico ben definite come le donne od i giovani. Notevole è l’attenzione riservata al mondo dei lavoratori delle singole professioni, manifesta attraverso materiale destinato ad esempio agli operai di fabbrica o ai contadini.

Per quanto riguarda il Comitato di Liberazione Nazionale nelle sue diramazioni, attività editoriali si concretizzano in pubblicazioni ufficiali e ben diffuse come «La Riscossa italiana. Organo Piemontese del Fronte di liberazione nazionale» ed altre circolanti invece più a livello locale, come ad esempio il «Bollettino quotidiano d’informazioni» nell’Ossola dell’autogoverno partigiano o «Fratelli d’Italia» in Veneto. 

I partiti impegnati nella lotta al nazifascismo fanno circolare i loro giornali nazionale, veri e propri “organi di partito”, come dichiarato nei sottotitoli. Questi sono portati a seguire la linea delle rispettive forze politiche anche se le singole edizioni hanno i loro protagonisti e dunque le loro particolarità: non mancano pertanto le divergenze di opinioni tra le redazioni delle diverse città. Il Partito Comunista Italiano è presente con «L’Unità», celebre testata nazionale con le sue edizioni milanese, romana e napoletana; vi sono poi una ventina di edizioni locali. Generalmente la linea seguita ha un carattere agitatorio ed informativo. A «L’Unità» sono legati nomi illustri come quelli del già citato Curiel, Pietro Secchia, Mauro Scoccimarro, Giorgio Amendola, Celeste Negarville ed altri ancora. Il Partito d’Azione parla attraverso «Italia libera», diffuso Roma, a Milano e a Torino. Anche nel caso del principale giornale azionista i nomi di spessore sono tanti e spaziano da quelli di Leone Ginzburg a Riccardo Lombardi, da Leo Valiani a Franco Venturi. L’Organo del PdA si rivela importante per mettere in evidenza l’approccio azionista alla lotta contro tedeschi e fascisti; tra le sue pagine vengono ribadite con forza posizioni contro la monarchia e contro Pietro Badoglio. Il Partito Socialista è presente con «L’Avanti! Giornale del partito socialista di unità proletaria» con le sue edizioni per le città di Roma, Milano, Torino, Firenze, Venezia, Bologna. Nella capitale il giornale socialista è diretto da Pietro Nenni e Giuseppe Saragat, mentre a Milano è curato da Guido Mazzali e Renato Carli Ballola. Particolarità che emerge dalle pagine de «L’Avanti!» è data dall’intento educativo che il giornale si propone; anche in questo caso evidenti sono le posizioni anti badogliane ed antimonarchiche. Per quanto riguarda la stampa clandestina cattolica – dopo il famoso ed anticipativo opuscolo «Idee ricostruttive della democrazia cristiana» – nell’ottobre 1943 esce a Roma, «Il Popolo», edizione dell’organo di partito alla quale si affiancheranno le edizioni toscana e milanese; quella romana diviene l’organo ufficiale della DC. Tra i nomi celebri legati direttamente al giornale figurano quelli di Giulio Andreotti, Alcide De Gasperi, Guido Gonella, Mario Scelba e Giuseppe Spataro. Per il Partito Liberale Italiano, il riferimento principale è «Risorgimento liberale», promosso da Benedetto Croce e Luigi Einaudi a Roma a partire dall’agosto del 1943; avrà anche un’edizione lombarda ed una piemontese. Si tratta di una pubblicazione che, oltre ad offrire informazione, punta a spiegare le idee ed i principi che ispirano la galassia liberale, in realtà molto frammentata. Per quanto riguarda il Partito Repubblicano – non aderente al CLN – abbiamo «La Voce repubblicana» che segue la linea “dell’intransigenza repubblicana” e rimarca la pregiudiziale antimonarchica; le sue edizioni circolano nella capitale, in Lombardia ed in Emilia-Romagna. 

Accanto alle testate più “nazionali” circolano poi nell’Italia occupata un gran numero di pubblicazioni locali. Anche in questo caso abbiamo legami diretti con i partiti, come ad esempio – per il PCI – il milanese «La Fabbrica» oppure  «Il Lavoratore» e «La Terra. Giornale dei lavoratori della terra», esplicitamente dedicati a categorie professionali e trattanti temi che spaziano dalle questioni sindacali alla mobilitazione popolare. Per il PdA molti sono i fogli locali come ad esempio «Giustizia e libertà», circolante in Piemonte ed in Veneto. Anche tra gli azionisti grandi sforzi sono dedicati alla stampa pensata per le differenti categorie di lavoratori, ad esempio con «Voci d’officina» – poi organo sindacale del partito –  promosso legato a nomi come quelli di Franco Venturi, Franco Momigliano e Leo Valiani. Su una linea simile «Azione contadina» e «Voci dei campi e delle officine»; pubblicazioni volte a collegare rivendicazioni sindacali di categorie definite ad un impegno di più ampio respiro, da stimolare ed orientare verso la liberazione del paese dal nazifascismo. Tra la stampa socialista una notevole attenzione è dedicata alle professioni ed a pubblici ben definiti, come le donne ed i giovani. Abbiamo in tal senso «L’Edificazione socialista. Giornale dei professionisti, dei tecnici e degli impiegati», diretto da Angelo Saraceno: un prodotto sul quale trovano spazio teorie e programmi utili alla costruzione della società socialista. Pensato per le donne è invece «La Compagna», mensile diffuso in Emilia-Romagna e diretto da Ada Buffulini; per i giovani il fiorentino «Avanguardia. Giornale della gioventù socialista» e «Rivoluzione socialista. Organo clandestino della federazione giovanile del partito socialista di unità proletaria» nelle edizioni lombarda, piemontese e ligure. 

Per i democristiani circola nella capitale, sotto la responsabilità di Andreotti e Giorgio Tupini, «La Punta. Giornale di battaglia della gioventù democratico-cristiana», con edizioni in altre località; A Milano «Democrazia»; a Torino «Per il domani» e «La Vedetta della democrazia cristiana subalpina»; in Veneto, tra gli altri, «La Campana, l’ora del popolo» o «La Libertà», stampato a Padova.

Nella sfera del PLI – che si caratterizza per pubblicazioni non periodiche – abbiamo «L’Opinione» nella sua edizione piemontese –  diretto da Franco Antonicelli – ed in quella toscana – diretta da Eugenio Artom. In Veneto si trova «Veneto Liberale», in Liguria viene diffuso «Il Secolo liberale. Organo ligure del Partito liberale italiano» mentre a Pavia circola «L’Idea liberale. Foglio del gruppo pavese del Partito liberale italiano». Espressione del tentativo compiuto dalla forza politica di rivolgersi specificatamente ai giovani è «Gioventù liberale», redatto a Milano. 

Abbiamo poi pubblicazioni più settoriali, utili per ospitare dibattiti più complessi. Si tratta di prodotti in cui viene dato spazio ad elaborazioni di più ampio respiro, capaci di andare oltre le contingenze del momento. In tale senso si segnalano, tra gli altri, il già citato «Nostra lotta» per il PCI, rivista quindicinale che punta a diffondere la linea del partito trattando questioni ideologiche. Per i socialisti «Politica di classe», rivista di elaborazione politica legata ai nomi di Lelio Basso, Guido Mazzali e Rodolfo Morandi. Per mano dei liberali a Milano vengono pubblicati i «Quaderni del Risorgimento liberale» con interventi di Luigi Einaudi e Benedetto Croce. Per la Democrazia Cristiana escono i «Quaderni del Ribelle», prodotto quest’ultimo che si propone di toccare temi più complessi che ragionano sul passato e sul futuro della nazione.

Vi è poi tutta una vasta produzione di gruppi minori, autonomi, politicamente indipendenti e movimenti che danno alle stampe materiale di propaganda, agitazione, informazione ed orientamento. Abbiamo, a titolo esemplificativo, realtà come il Movimento dei cattolici comunisti, Il Movimento cristiano Sociale, i Lavoratori Cristiani od Il Movimento sociale per l’unità d’Italia. I formati prodotti sono anche in questo contesto vari e spaziano dai fogli ai giornaletti, dagli opuscoli ai quaderni.

Accanto a quella “di città” abbiamo la stampa che circola tra le brigate partigiane, detta “di montagna”; generalmente ad opera delle singole formazioni, questa è pensata principalmente per avere un carattere informativo nei confronti di chi combatte. Considerando la miriade di formazioni partigiane combattenti  – dalle grandi divisioni legate alle brigate più piccole ed indipendenti – ed il loro sviluppo nel biennio 1943-45, dare dei giudizi di ampio respiro è abbastanza riduttivo delle singole specificità. Nonostante questo è possibile trovare delle caratteristiche comuni ai “fogli” – così vengono definiti – delle varie realtà militari della Resistenza.  Si tratta di materiale sovente prodotto attraverso l’utilizzo del ciclostile ma anche a macchina, in cui generalmente le questioni politiche non sono trattate nello specifico, anche perché la loro comprensione risulterebbe ardua per i partigiani; molti combattenti sono giovani o giovanissimi, cresciuti integralmente sotto la dittatura e dunque privi degli strumenti utili per approcciarsi a discorsi complessi. Inoltre molto spesso coloro che si dedicano alle attività di redazione non sono professionisti del giornalismo e pertanto non possiedono il know how sia contenutistico che stilistico. Oltre a ciò bisogna tenere conto della precarietà in cui le formazioni vivono – la costante possibilità di rastrellamenti – e la scarsità di materiali utili al procedimento di stampa. Questo non significa che non vengano toccati argomenti scottanti e domande esistenziali: molti sono gli articoli che trattano i temi della disciplina e delle privazioni o che provano a ragionare sull’Italia del futuro.

Il materiale prodotto dalle formazioni assume inoltre la valenza di strumento utile a rafforzare una sorta di spirito di corpo; vengono esaltate ad esempio le azioni delle brigate, gli atti di eroismo, si ricordano i compagni caduti e si segnalano le nefandezze nazifasciste Non mancano le informazioni provenienti dai vari fronti di guerra e vi è dello spazio riservato all’umorismo: barzellette, ironia spicciola e scurrilità mirano a rendere un tantino più sopportabile la dura esistenza dei partigiani. La forma di questi fascicoli “di montagna” è piuttosto semplice ed anche il linguaggio segue la stessa linea. Ciò che emerge osservando questo tipo di pubblicazioni è la presenza di una retorica evidentemente eredità del periodo della dittatura. In un momento in cui ciò che si conosce smette di esistere e tutto è in trasformazione, si cercano modelli e miti a cui ispirarsi: svariati in questo senso sono i richiami al risorgimento italiano ed ai suoi protagonisti.

Le esperienze legate ai “fogli” partigiani sono tante e diverse. Le Fiamme Verdi – formazioni di ispirazione cattolica – pubblicano «Il Ribelle». Il Partito d’Azione è presente con «Il Partigiano alpino. Organo delle Formazioni partigiane di GL», al quale partecipano personaggi come Duccio Galimberti, Guglielmo Jervis e Paolo Braccini; tutti e tre pagano con la vita, in circostanze diverse, il loro impegno nella Resistenza con il PdA. Vi sono poi pubblicazioni di numeri singoli e diversi fogli, come ad esempio «Giustizia e libertà. Notiziario della seconda divisione alpina Giustizia e libertà» o «Il Cacasenno. Quindicinale polemico della II divisione alpina GL».

Tra i fogli partigiani comunisti «La Stella alpina», organo delle brigate partigiane garibaldine del Cusio-Ossola-Verbano, stampato in Valsesia e diffuso anche nel Cusio ed in Ossola sotto la responsabilità di Vincenzo Moscatelli ed Eraldo Gastone, «Baita», foglio biellese con qualche migliaio di tirature che tratta anche di questioni legate alla democrazia progressiva,  «Stella garibaldina. Giornale della I divisione d’assalto Garibaldi Piemonte» e «Stella Tricolore. Giornale dei garibaldini della VI divisione», edito ad Alba a partire dal periodo della Zona libera.

Dare conto di tutte le pubblicazioni uscite clandestinamente tra il 1943 ed il 1945 è impossibile in questa sede. Per uno sguardo d’insieme si consiglia di consultare il sito del progetto «Banca dati della stampa clandestina» dell’Istituto Nazionale Ferruccio Parri; qui è possibile consultare i numeri digitalizzati di centinaia di testate ed usufruire di strumenti utili ad approfondire il tema generale attraverso consigli bibliografici, dossier didattici dedicati e saggi specifici.

La stampa clandestina in Italia durante la Resistenza si sviluppa tra ambizioni e limiti. In un contesto in cui è necessario imparare o re-imparare a fare giornalismo, gli antifascisti si adoperano per dare vita a giornali, fogli, bollettini, opuscoli e manifesti che abbiano tanto un valore informativo quanto educativo. Da un lato è necessario parlare all’opinione pubblica e convincerla ad attivarsi nella lotta al fascismo pubblicizzando le linee dei vari partiti del CLN, dall’altro occorre sviluppare una stampa per coloro che combattono e muoiono nelle formazioni partigiane: è necessario trovare il modo di spiegare alla componente armata della Resistenza le ragioni per sopportare i patimenti, la disciplina ed rischi della guerriglia. Non mancano ovviamente le occasioni di discussione – un esempio è dato dal «dibattito delle cinque lettere» – tra stampe clandestine dei vari partiti; sono le anticipazioni del “gioco” democratico. Così, in clandestinità, tra esigenze di compattezza del fronte antifascista e naturali divisioni, si forma e si definisce l’opinione publica politica di coloro che si impegnano nella lotta di liberazione. Accanto a coloro che si spendono nella filiera della stampa clandestina – sia nel sotterraneo di una fabbrica milanese o sia tra i fumi di una baita veneta con il pavimento in terra battuta – anche il pubblico riscopre l’esistenza di linee politiche differenti. Attraverso il confronto, la discussione, l’adesione ad un’idea piuttosto che ad un’altra, gli italiani in generale scoprono e riscoprono il valore dell’informazione e si preparano – con gradi di consapevolezza molto differenti – al tempo ed ai meccanismi della Repubblica.

Luca Zanotta

Elenco tappe LA STAMPA CLANDESTINA

FONTI

Bibliografia

D. Gabusi, La stampa della Resistenza, in Storia d’Italia nel secolo ventesimo. Strumenti e fonti, a cura di C. Pavone, Istituto Nazionale per la Storia del Movimento di Liberazione in Italia, 2006

L. Conti, La Resistenza in Italia: 25 luglio 1943 – 25 aprile 1945, Feltrinelli, 1961

Stampa clandestina, Dizionario della Resistenza, a cura di E. Collotti, R. Sandri, F. Sessi, Torino, Einaudi

Stampa clandestina: 1943-1945: storie, fonti, strumenti per la didattica, Istituto nazionale per la storia del movimento di liberazione in Italia, 2017

Sitografia 

Associazione Nazionale Partigiani d’Italia, Stampa clandestina, scheda pubblicata sul sito www.anpi.it consultato il 24/6/2025

Stampa clandestina 1943-1945. La Banca dati dei periodici pubblicati durante la Resistenza, progetto pubblicato sul sito www.stampaclandestina.it consultato il 24/6/2025

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