SALVO D’ACQUISTO: LE RAPPRESENTAZIONI DI UN MITO

SALVO D’ACQUISTO: LE RAPPRESENTAZIONI DI UN MITO

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SALVO D’ACQUISTO: LE RAPPRESENTAZIONI DI UN MITO

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In occasione dell’80° anniversario dell’eroica morte di Salvo D’Acquisto, la FIAP intende celebrare la sua persona con una pubblicazione: “Salvo D’Acquisto: le rappresentazioni di un mito”. Un volume sia in formato cartaceo che digitale, con un taglio divulgativo che analizzi le rappresentazioni della figura di Salvo D’Acquisto e tenti un primo bilancio della sua straordinaria fortuna presso coevi e posteri, anche attraverso questa mappatura dei luoghi e dei monumenti a lui dedicati, come comuni, strade, piazze, scuole, caserme, monumenti, lapidi e tanti altri luoghi.

Salvo Rosario Antonio D’Acquisto nacque a Napoli il 17 ottobre 1920. All’età di 18 anni si arruolò volontario nei Carabinieri (15 agosto 1939); nell’autunno del 1940 fu assegnato alla sezione 608 dell’Aeronautica e combatté nella campagna del Nordafrica. Rientrato in Italia in licenza, a seguito di una virulenta febbre malarica, nel 1942 seguì un corso alla Scuola centrale Carabinieri reali di Firenze e fu promosso vicebrigadiere. Dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943 venne assegnato alla caserma dei carabinieri di Torrimpietra (Roma), vicino Palidoro (all’epoca una borgata rurale distante da Roma circa 30km lungo la via Aurelia), oggi frazione del Comune di Fiumicino, dove il 23 settembre 1943  venne fucilato da un reparto tedesco dopo essersi proclamato, da innocente, unico responsabile di un presunto atto di sabotaggio.

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LA MEMORIA DI MILANO TRA ANTIFASCISMO E RESISTENZA

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LA MEMORIA DI MILANO TRA ANTIFASCISMO E RESISTENZA

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Gli itinerari che proponiamo rappresentano un percorso di approfondimento incentrato sulla città di Milano e sul ruolo chiave che essa svolse durante il movimento resistenziale.

Grazie alla creazione di questi percorsi dedicati (uno per ciascun municipio della città di Milano), il progetto valorizzerà le vicende resistenziali ed antifasciste dei diversi quartieri della città e incoraggerà l’esplorazione di aree di Milano la cui storia é meno nota, ma non per questo meno significativa. Gli itinerari, infatti, permetteranno di valorizzare luoghi di natura diversa (monumenti, edifici, targhe e soprattutto luoghi senza alcun riferimento) e di incoraggiare i fruitori a “leggere” con attenzione il tessuto urbano di riferimento. Le mappe scaricabili guideranno, con informazioni specifiche, studenti e “curiosi”, all’interno di percorsi alternativi che sveleranno storie spesso nascoste, ma che sono parte integrante, ed alla base, della storia e della memoria della città.

…work in progress… 

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IL MONUMENTO DEDICATO A EMILIO CANZI, A PELI DI COLI

IL MONUMENTO DEDICATO A EMILIO CANZI, A PELI DI COLI

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IL MONUMENTO DEDICATO A EMILIO CANZI, A PELI DI COLI

© La fotografia che ispirò lo scultore Secondo Tizzoni e la fotografia del momunento realizzata da Cino Bocchi – Queste immagini sono protette da copyright

Sulla piccola radura di fronte alla chiesa di Peli, si trova un monumento che raffigura Emilio Canzi: su un piedistallo in pietra, con lo sguardo rivolto all’immensità della valle, la sciarpa sventolante e lo sten sulla spalla. Non vi è nulla di statico o di retorico, Canzi è in movimento e la sua postura avvalora ancor di più il realismo di quest’opera: sembra muoversi, accenna un passo. Inoltre, questa scultura, opera di Secondo Tizzoni, ritrae Canzi con una grandissima attenzione alla fisionomia e alla caratterizzazione.

Emilio Canzi nacque a Piacenza il 14 marzo 1893 da Pietro e Giuseppina Barba. Abbandonò le scuole tecniche per lavorare come commesso in un negozio e sino all’agosto del 1913 rimase alle dipendenze della ditta Tadini e Verza. Chiamato alle armi, fu inviato in Libia. Nel 1916 venne rimpatriato perché affetto da enterocolite, ma al termine della convalescenza fu subito inviato in Val Lagarina e incorporato in un battaglione di fanteria. Smobilitato nel settembre del 1919, gli venne riconosciuta una pensione di 7° grado per invalidità di guerra e fu decorato con la croce di guerra, ed una medaglia commemorativa dedicata alle campagne di Libia e italo-austriaca.
Assunto come impiegato nell’Officina automobilistica del Regio esercito, partecipò attivamente alle agitazioni del dopoguerra, aderendo al movimento anarchico: nel 1921 divenne istruttore e capo degli Arditi del popolo.

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Indiziato per l’omicidio del fascista Antonio Maserati, avvenuto nel giugno del 1922, dovette trasferirsi, prima a Roma, poi in Francia; dove nel 1924 partecipò al movimento delle Legioni garibaldine.
Il 9 agosto 1927 rientrò a Piacenza, riprese i contatti con i compagni rimasti, ma la polizia decise di ritirargli il passaporto. Per alcuni mesi tentò di recuperarlo in modo legale, poi nell’aprile del 1928 decise di espatriare clandestinamente. Giunto in Francia si stabilì a St. Cloud e nell’ottobre del 1933 accettò di far parte del Comitato anarchico pro vittime politiche di Parigi, curando in particolare le relazioni con i compagni rimasti in Italia. Nel 1935 fu tra i protagonisti della mobilitazione contro le espulsioni dei militanti anarchici dalla Francia e per il diritto d’asilo e partecipò alle iniziative contro la guerra italo-etiopica.
Nel settembre 1936 si spostò in Spagna e aderì alla Colonna italiana della Divisione Ascaso, operante in Aragona. Partecipò a tutti i principali combattimenti e assunse il comando di una sezione della Colonna. L’anno successivo, nel 1937, passò alle Brigate internazionali come comandante della 36a brigata, che operava nella zona di Huesca. Rimasto ferito in combattimento, a settembre decise di rientrare a Parigi, dove si impegnò nel Comitato anarchico pro-Spagna, occupandosi dei soccorsi agli ex combattenti della Colonna italiana.
Il 26 ottobre 1940 fu arrestato dalla polizia nazista e dopo tre mesi trascorsi in carcere a Parigi e a Treviri, venne portato nel campo di concentramento di Hinzert, in Germania. Nel marzo 1942 venne tradotto in Italia e condannato a cinque anni di confino nell’isola di Ventotene.
Alla caduta del fascismo, come tanti altri anarchici, non fu liberato ma inviato nel campo di concentramento di Renicci di Anghiari, dal quale riuscì a fuggire solo dopo l’8 settembre. Giunto a Piacenza, salì in montagna in località Peli, iniziò a promuovere la costituzione della prima formazione partigiana della provincia e partecipò alla costituzione del Comitato di liberazione nazionale provinciale.
Nel 1944 ricevette l’incarico dal CLN Alta Italia di unificare le formazioni partigiane in un Comando Unico, che si costituì in agosto. Canzi divenne il comandante della XIII zona, con il nome di battaglia “Ezio Franchi”. L’azione del Comando Unico, però, risentiva fortemente delle tendenze autonomistiche delle diverse formazioni partigiane, ma Canzi riuscì a contenerne le tensioni. A seguito dei rastrellamenti invernali si aprì nuovamente una grave crisi nel Comando Unico, ed il ruolo di Canzi fu messo in discussione: dai comunisti era visto come il punto debole, perché non rappresentava alcuna forza politica organizzata, ed a più riprese tentarono di sostituirlo; fino al 20 aprile 1945 quando lo arrestarono e fu trattenuto nella casa di un militante comunista a Bore di Metti, sino a quando venne liberato da un altro reparto partigiano e poté riprendere la lotta come semplice partigiano.
Dopo la liberazione di Piacenza fu eletto segretario, poi presidente, dell’Associazione nazionale partigiani d’Italia – ANPI, rappresentante unico dei partigiani nel CLN provinciale, presidente della Federazione provinciale combattenti di tutte le guerre, dell’Unione volontari della libertà e venne anche reintegrato nel suo ruolo di Comandante Unico, con il grado di colonnello.
Il 30 settembre del 1945 fu investito da una camionetta dell’esercito inglese e dovettero amputargli una gamba: morì a causa di una broncopolmonite, nell’ospedale di Piacenza, il 17 novembre 1945.
A officiare la cerimonia funebre fu don Giovanni Bruschi, cappellano militare della XIII zona, parroco di Peli, ma soprattutto amico e collaboratore fidato di Canzi durante la Resistenza. Dopo i funerali Canzi venne sepolto (come aveva chiesto) a Peli di Coli, la montagna dove iniziò la sua lotta partigiana.

Annalisa Bertani

Localizzazione

Località: Peli
Indirizzo: Località Peli
Comune: Coli
Provincia: Piacenza (PC)
Regione: Emilia Romagna
Coordinate geografiche: Latitudine 44.72880 – Longitudine 9.43362

U

 

Tag:

FONTI

Sitografia
Emilio Canzi, profilo biografico pubblicato sul portale Oggi in Spagna domani in Italia consultato il 22/10/2023

I. Meloni, Scolpiti nella memoria. Statue, commemorazioni e luoghi di memoria della Resistenza a Piacenza, articolo pubblicato sulla rivista online e-review.it consultato il 22/10/2023

C. Silingardi, Da Piacenza a Piacenza, profilo biografico pubblicato sulla rivista online A rivista anarchica consultato il 22/10/2023

F. Sprega, Lassù sull’Appennino, articolo pubblicato sulla rivista online A rivista anarchica consultato il 22/10/2023

 

 

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ALTRE INFORMAZIONI

Date evento: 14/03/1893 – 17/11/1945

Cognome / Nome: Canzi Emilio detto Ezio Franchi; Bruschi Giovanni

Formazioni d’appartenenza: Comando Unico; comandante della XIII zona

Date opera: ideata già nel 1947, fu terminata nel 1955.
Fu posta a Peli il 24/7/1955

Autore: Tizzoni Secondo

Note: monumento visibile e liberamente accessibile.
Testo epigrafe: Qui tra gli alti monti e la gente umile donde con pochi animosi intraprese l’ultima sua battaglia per la libertà dei popoli, Emilio Canzi, volle riposassero le sue spoglie mortali. Sposata la causa dei poveri e degli oppressi , combattente leale ed indomito in terra d’ Italia e di Francia, in Belgio, in Spagna, in Germania, per il trionfo della libertà, per la giustizia sociale e per un’umanità migliore soffrì persecuzioni, esilio e galera. O tu che qui pietoso t’aggiri ascolta la voce che ammonitrice e implacata s’alza da questa tomba.

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IL MONUMENTO DEDICATO A EMILIO CANZI, A PELI DI COLI

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LA TOMBA DI UMBERTO CEVA AL CIMITERO DI BOBBIO

LA TOMBA DI UMBERTO CEVA AL CIMITERO DI BOBBIO

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LA TOMBA DI UMBERTO CEVA AL CIMITERO DI BOBBIO

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Umberto Ceva (Pavia 1900 – Roma 1930) di famiglia di ideali mazziniani e repubblicani, laureato in Chimica, è direttore tecnico dello stabilimento “Pagani e Villani” a Milano. Nel 1925, mentre si trova in vacanza a Varzi, conosce Elena Valla, docente e letterata, con la quale si sposa e ha due figli: Edoardo (1926) e Lucio (1929). Dal 1929, Ceva aderisce alla cellula milanese di Giustizia e Libertà di Ernesto e Riccardo Bauer e si incarica di produrre inchiostri simpatici per le comunicazioni clandestine. Il 30 ottobre 1930, il nucleo di cospiratori viene scoperto e tratto in arresto. Detenuto a Regina Coeli, Umberto viene accusato di avere confezionato ordigni esplosivi e convinto dagli inquirenti di essere stato tradito dai compagni. L’operazione è ordita dall’Opera vigilanza repressione antifascismo – OVRA, che intende costruire un grande processo teso a delegittimare l’antifascismo borghese e liberale, anche attraverso l’impiego dell’agente infiltrato Carlo Del Re.

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Due mesi dopo, nella notte di Natale, Umberto sceglie di togliersi la vita in carcere, lasciando una lettera toccante alla moglie e proclamando la propria innocenza. La notizia fa il giro del mondo e scatena un’ondata di proteste: l’immagine del fascismo ne esce irrimediabilmente incrinata e il teorema accusatorio contro Giustizia e libertà – GL crolla.
Ceva viene sepolto al cimitero di Bobbio, in una tomba a terra, sulla quale viene apposta (dopo un lungo braccio di ferro con le autorità fasciste di Piacenza) una lapide, scolpita da Alfeo Bedeschi. Il monumento raffigura una pila di libri (simbolo della scienza), un’agave (simbolo del dovere), una gallina (simbolo della vita semplice) e due figure che si scaldano al fuoco di una fiamma somigliante al simbolo di Giustizia e Libertà. A fianco della tomba di Umberto Ceva si trova la sepoltura della sorella Bianca (Pavia 1897 – Milano 1982), partigiana giellista e direttrice responsabile del giornale clandestino “Il grido della libertà”, periodico ufficiale della Brigata “Giustizia e Libertà” di Piacenza, comandata da Fausto Cossu.

Iara Meloni

Localizzazione

Località: Cognolo
Indirizzo: località Cognolo
Comune: Bobbio
Provincia: Piacenza (PC)
Regione: Emilia Romagna
Coordinate geografiche: Latitudine 44.78085468359501 – Longitudine 9.400231528313325

U

 

Tag:

FONTI

Bibliografia
B. Ceva, 1930. Retroscena di un dramma, Milano, Ceschina, 1955

L. Ceva, Case di guerra 1940-1945, Milano, Unicopli, 2018

M. Franzinelli, I tentacoli dell’Ovra. Agenti, collaboratori e vittime della polizia politica fascista, Torino, Bollati Boringhieri, 1999, pp. 91-124

M. Giovana, Giustizia e Libertà in Italia. Storia di una cospirazione antifascista 1929-1937, Torino, Bollati Boringheri, 2005, pp. 157-206

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ALTRE INFORMAZIONI

Data evento: 1930

Cognome / Nome: Ceva Umberto; Ceva Bianca; Valla Elena

Formazioni d’appartenenza: Giustizia e Libertà

Data/e opera: non determinabile

Autore: Alfeo Bedeschi

Note: la tomba è liberamente accessibile e collocata nel settore superiore del cimitero, sulla sinistra

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LAPIDE IN MEMORIA DI MARIO JACCHIA “ROSSINI” ED ALTRI PARTIGIANI, A CAORSO

LAPIDE IN MEMORIA DI MARIO JACCHIA “ROSSINI” ED ALTRI PARTIGIANI, A CAORSO

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LAPIDE IN MEMORIA DI MARIO JACCHIA “ROSSINI” ED ALTRI PARTIGIANI, A CAORSO

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La lapide, che ricorda collettivamente diversi caduti della lotta di liberazione, viene apposta inizialmente presso la cascina Baracca di Roncarolo. Per metterla al riparo da eventi alluvionali, nel 2002 è stata rimossa e posta sulla parete della Chiesa di San Lorenzo Martire a Roncarolo, dove è attualmente collocata. La cascina Baracca era stata, a partire dalla primavera 1944, base operativa per un nucleo delle Squadre di azione patriottica – SAP operanti nella pianura piacentina e nel cremonese, al comando del colonnello dell’Aeronautica Piero Minetti.
Qui si era recato per diversi incontri clandestini anche l’azionista bolognese Mario Jacchia “Rossini”, massimo dirigente del Comando Nord Emilia, organizzazione di raccordo e coordinamento delle formazioni partigiane delle province di Piacenza, Parma e Reggio Emilia. Tra settembre e ottobre 1944 una serie di rastrellamenti, incendi e deportazioni condotti da formazioni fasciste e tedesche smantella completamente l’organizzazione. Nel dopoguerra viene apposta una lapide per ricordare i sappisti uccisi e deportati, in una lapide commemorativa che ricorda anche gli ufficiali di collegamento caduti, passati per la Baracca. Tra loro appunto, Jacchia, catturato e ucciso nel corso di una missione nel Parmense.

Iara Meloni

Localizzazione

Località: Roncarolo
Indirizzo: via don Minzoni, 7
Comune: Caorso
Provincia: Piacenza (PC)
Regione: Emilia Romagna
Coordinate geografiche: Latitudine 45.06592723163344 – Longitudine 9.83910630489365

U

 

Tag:

FONTI

Sitografia
Roncarolo, Caorso, 26.09-01-10.1944, scheda pubblicata sul sito www.straginazifasciste.it consultato il 7/7/2023

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ALTRE INFORMAZIONI

Data evento: 9/1944

Cognome / Nome: Jacchia Mario detto “Rossini”

Formazioni d’appartenenza: Comando Nord Emilia

Data/e opera: la lapide viene apposta sulle mura della cascina nell’autunno 1946, in occasione della seconda ricorrenza dell’eccidio della Baracca. Nel 2002, nel corso di un intervento di restauro e riqualificazione è stata rimossa dalla cascina, ormai fatiscente, per essere collocata sul muro della Chiesa di San Lorenzo martire a Roncarolo.

Autore / i: non determinabile

Note: lapide liberamente accessibile. Tutti gli anni, in occasione della ricorrenza dell’eccidio, le associazioni partigiane organizzano una commemorazione presso la cascina Baracca e omaggiano la lapide.

Sia la cascina Baracca che la lapide dedicata a Jacchia sono inserite nel tracciato del sentiero SL24 “Sentiero dei sappisti” tracciato dal Museo della Resistenza piacentina www.sentieridellalibertà.it

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